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Tutti contro il ministro Terzi. Lui: "Basta diatribe politiche"

Il titolare della Farnesina sotto accusa per i marò, Nigeria e Urru. Lo difende solo Fini. Lui "Stop a polemiche sulla pelle dei nostri connazionali"

Matteo Legnani
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E' stato un sotterfugio delle autorità indiane ad incastrare i nostri marò. Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, durante l'informativa al Senato ha spiegato che l'ingresso della Enrica Lexi, la nave sulla quale si trovavano i due fucilieri italiani, in acque indiane è stato "il risultato di un sotterfugio della polizia locale, in particolare del centro di coordinamento della sicurezza in mare di Bombay che aveva richiesto al comandante della Lexie di dirigersi nel porto di Kochi per contribuire al riconoscimento di alcuni sospetti pirati". Il ministro  ha poi sottolineato che, "sulla base di questa richiesta, il comandante della Lexie, acquisita l'autorizzazione dell'armatore decideva di dirigere nel porto". Inoltre, ha aggiunto Terzi, "il comandante della squadra navale e del Centro operativo interforze della Difesa non avanzavano obiezioni, in ragione di una ravvisata esigenza di cooperazione antipirateria con le autorita indiane, non avendo essi nessun motivo di sospetto". Giustificazioni che comunque non cancellano le "figuracce" collezionate da Terzi in questi ultimi giorni: la gestione ministeriale dei dossier più recenti - Urru, marò, Lamolinara - è parsa non ottimale e molti lo hanno criticato suscitando la sua piccata reazione. Ha chiesto pubblicamente che cessino le "diatribe politiche" fatte sulla pelle di italiani in situazione di pericolo. "Non vogliamo assolutamente accettare che questi episodi diventino un elemento per le quotidiane illazioni o per le quotidiane diatribe che ogni tanto si sviluppano nel nostro Paese", ha affermato il titolare della Farnesina a margine di una riunione con i colleghi dell'Ue a Copenaghen, "quando si sviluppano si possono sviluppare su altre cose, non sulla pelle dei ministri connazionali che sono a rischio". "Noi", ha sottolineato Terzi, "trattiamo questi casi, nei rapporti con i nostri organi di intelligence e con gli altri ministeri, con profonda consapevolezza dei rischi che i nostri connazionali corrono". Segue l'articolo di Francesco Borgonovo Quando l'unico a difenderti è Gianfranco Fini,  devi cominciare a porti delle domande. Se poi ricopri l'incarico di ministro degli Esteri e vieni preso a pesci in faccia da mezzo mondo, la questione, benché serissima, diviene ancor più grottesca. I tecnici che millantavano di averci restituito credibilità internazionale hanno raccolto negli ultimi giorni una collezione di figuracce, delle quali ci sarebbe da ridere se non ci fosse di mezzo la vita di alcuni nostri connazionali. Stiamo parlando, ovviamente, dei due marò  reclusi in India - Massimiliano Latorre e Salvatore Girone - e della scandalosa vicenda dell'ingegnere Franco Lamolinara, rapito da Al Qaeda e ucciso in Nigeria dopo il fallimento di un blitz degli Special boat navy britannici. Due episodi che Giulio Terzi di Sant'Agata ha vissuto da spettatore. Nel caso di Lamolinara, le autorità italiche nemmeno sono state avvertite dal premier inglese Cameron. Quanto ai marò, ci son volute tre settimane prima che Terzi si degnasse di convocare l'ambasciatore indiano e gridargli in faccia le nostre ragioni. Se aggiungiamo i pasticci su Rossella Urru, la cooperante italiana rapita nei campi profughi sahrawi (l'hanno liberata, anzi no, chi lo sa), il disastroso quadretto è completo. Ce n'è più che a sufficienza per chiedere le dimissioni del responsabile della Farnesina, come ha fatto ieri Roberto Maroni. Eppure una voce solitaria si è levata a far scudo a Terzi: quella di Fini.     Ieri il presidente della Camera ha dichiarato di avere «piena fiducia» nell'operato del ministro. E ci mancherebbe: i due sono legati da uno strettissimo rapporto. Terzi è stato ambasciatore a Tel Aviv fra il 2002 e il 2004, giusto in tempo per favorire lo sbarco di Fini in Israele nel 2003. Egli è l'artefice della famosa visita in terra santa durante la quale Gianfry definì il fascismo «male assoluto», con grande scandalo degli  ex missini. Da allora, il legame tra i due è rimasto saldo, e Terzi è presto tornato utile al numero uno di Montecitorio. Fino al novembre 2011, prima di essere chiamato da Monti,  è stato ambasciatore negli Stati Uniti. Contribuendo  al tour americano dell'amico Fini, che incontrò la Speaker of the House Nancy Pelosi e una pattuglia di immigrati italiani, in rappresentanza della  National Italian American Foundation (parlarono, probabilmente, anche dell'opportunità di  silurare Silvio Berlusconi). Favori in cambio dei quali Fini offre ora un appoggio che ha dell'incredibile. Nemmeno Italo Bocchino ha mostrato tanta faccia tosta. Oddio, non ci stupiamo. Gianfry è l'uomo che, in un'intervista al Corriere di un paio di giorni fa, parlando di temi di politica estera, non si è neppure degnato di nominare i nostri militari prigionieri. Tale sponsor, tale ministro. Il massimo che Terzi è riuscito a fare ieri  è stato «confidare» in un'azione «attiva» dell'Unione Europea sul caso dei marò. Secondo molti, dicevamo, dovrebbe considerare l'idea di dimettersi. Ma, da perfetto finiano, siamo certi che non lo farà. di Francesco Borgonovo

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