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Pressato da Cgil, Pd e Cei Monti costretto alla retromarcia

Riforma art.18, all'asse cattocomunista si unisce la Lega. Il prof tratta su indennizzi e passa la palla all'aula: verso legge delega

Andrea Tempestini
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Sul premier Mario Monti si è scatenato un pressing selvaggio, che ha unito e avvicinato poli storicamente distanti tra loro. Il pomo della discordia è la riforma del lavoro, che nel corso dell'aspro dibattito delle ultime settimane viene sostanzialmente identificata con un solo aspetto di un testo ampio e organico, quello relativo all'articolo 18. Il principale nodo è quello dei liceziamenti per motivi economici, che nel testo presentato dal governo dei tecnici non prevede la possibilità del reintegro, a differenza di quanto successo fino ad oggi. Scontata la contrarietà della Cgil di Susanna Camusso, che nonostante l'isolamento promette battaglia e ha già proclamato uno sciopero generale. A ruota del sindacato rosso Pierluigi Bersani, il segretario del Pd, partito lacerato e sull'orlo dell'implosione a causa del dibatitto interno sulla riforma del lavoro. Il leader democratico non ha dubbi: "La norma sull'articolo 18 deve essere cambiato. Se il licenziamento viene totalmente monetizzato facciamo un salto di qualità nel diritto del lavoro". L'attacco dei vescovi - All'asse, scontato, che a sinistra vede uniti il Pd e la Cgil, ieri, giovedì 22 marzo, si è unito un 'compagno' insolito, la Cei, la Conferenza episcopale italiana. Il presidente della Commissione lavoro dei vescovi, monsignor Bregantini, ha detto chiaro e tondo che Monti "ha sbagliato" a lasciare fuori dalle trattative la Cgil. In un connubio di cattocomunismo, Bregantini ha spinto sul fatto che "non è possibile tenere ai margini il primo sindacato italiano" e ha poi attaccato il governo rinfacciandogli il fatto che "i lavoratori non sono merce". Dopo la presa di posizione della Cei, anche la Cisl di Raffaele Bonanni ha cambiato sensibilmente la linea sulla riforma del Lavoro, spiegando che "la norma sull'articolo 18 va riscritta". Un significativo cambio di posizione da parte di Bonanni, che fino a due giorni fa decisamente più accomodante nei confronti del testo proposto da Monti ed Elsa Fornero. Ultimo tassello di uno schieramento trasversale e peculiare - oltre alle scontate, non fanno nemmeno più notizia, barricate dell'Idv di Di Pietro - è quello della Lega Nord. Anche Umberto Bossi indossa la tuta blu e si lancia in slogan operaisti: "Giù le mani dall'articolo 18", ha intimato il leader del Carroccio. La retromarcia - Monti, prima, durante e dopo il tavolo con le parti sociali di giovedì, prendeva atto di una situazione fluida, in movimento. Il premier realizzava ora dopo ora che lo scontro si radicalizzava, che il suo consenso sulla riforma del mercato del lavoro veniva lentamente eroso. Il professore ha annotato sul suo taccuino la netta contrarietà al provvedimento della sinistra, di buona parte del mondo sindacale, del Carroccio e dell'Idv che sempre più spesso viaggiano in coppia, e anche quella del mondo cattolico, che ha preso posizione tramite la Cei. Una situazione intricata. E così nonostante i proclama e l'ostentata volontà di tirare dritto, Monti ha concesso qualcosa. Più che qualcosa. Per primo, proseguono le trattative per estendere gli indennizzi a tutti i lavoratori licenziati per motivi economici, buonuscite aziendali che si andrebbero a sommare agli ammortizzatori sociali. Inoltre ha lanciato la palla al Parlamento, poiché l'orientamento del governo è riformare il lavoro con una legge delega, che de facto permetterebbe all'aula di modificarne i contenuti nel corso dell'iter parlamentare.

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