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Pansa: Il dinosauro Cgil sbranerà Pierluigi e tutti i democratici

Camusso, barricate contro riforma del lavoro: uno scontro frontale che rischia di distruggere il Pd e di far fuggire i moderati dal centrosinistra

Andrea Tempestini
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Bruno Vespa è davvero il più bravo fra tutti gli autori-conduttori di talk show televisivi. Mercoledì, sulla Rete Uno della Rai, ha offerto l'intera prima serata al segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani. E lì per lì è sembrata una marchetta colossale, un favore di rado concesso a un leader politico. Alla ribalta per più di due ore. Con qualche ospite relegato a fare la comparsa. Ma chi ha visto la “serata Bersani” dall'inizio alla fine ha compreso che Vespa ci stava offrendo uno scoop. Vale a dire una finestra sul futuro dell'Italia politica e delle elezioni prossime venture. Una consultazione che potrebbe essere vinta dalla sinistra. O da un centrosinistra dove il centro sarà rappresentato non si sa bene da chi. Nell'Italia del dopoguerra, la sinistra ha vinto soltanto due volte  e sempre sotto la guida di un democristiano, Romano Prodi. In entrambi i casi le vittorie si sono rivelate effimere. Il primo governo del Professore, quello del 1996, è caduto vittima degli alleati. Il Prodi numero due, nato nel 2006, ha avuto una vita ancora più breve e stentata. Conclusa all'inizio del 2008 con un'altra morte violenta, lo sbocco delle infinite risse interne.  Bersani era già un politico professionale in piena attività. Nel Prodi 2 divenne  ministro per lo Sviluppo economico. E non credo abbia dimenticato gli errori che spinsero nel baratro il Professore. Prima ancora di diventare il numero uno del Pd, ha imparato una verità: vincere le elezioni può non essere difficile, il problema è far durare il governo. Soprattutto quando lo sorreggono coalizioni riottose. Il rebus di Pierluigi Nel salotto di Vespa, Bersani è apparso consapevole di questo rebus. E soprattutto dei passaggi necessari per arrivare al voto e alla vittoria. Il primo è il più azzardato e consiste nell'abbandonare il governo Monti al suo destino e farlo cadere. Il segretario del Pd non lo ha ancora deciso. Ma sa che gran parte della propria base militante ed elettorale lo spinge a quel passo. L'occasione per rompere è sempre l'articolo 18. Se Monti cederà alle richieste dei democratici, per il momento non ci sarà nessuna crac sul versante della sinistra. Ma se il governo tecnico terrà duro, il Pd finirà per mandarlo a gambe all'aria. In questa seconda ipotesi, Bersani disporrebbe di un alibi formidabile: la difesa del posto di lavoro per milioni di italiani. Un vantaggio che tuttavia ha un contrappasso: la famosa foto di Vasto, con il leader Pd a braccetto di Nichi Vendola e di Antonio Di Pietro. Quando Vespa glie l'ha mostrata, le smorfie di Bersani hanno fatto pensare che non la ritenesse l'icona giusta da sbandierare in una campagna elettorale. Eppure il trio di Vasto ha molti tratti in comune. L'ha rivelato una battuta di Bersani a proposito della nuova Ici, ossia dell'Imu, che renderà pesante l'imposizione fiscale sugli immobili. Irritato dai numeri mostrati da Vespa, il segretario del Pd è sbottato: «Quando avremo vinto, sostituirò queste tasse con un'imposta patrimoniale sui possessori di ricchezze». Sempre a proposito dell'ipotesi di Vasto, Bersani ha borbottato poche cose. Il nuovo governo di sinistra vedrà di certo in sella tanto Nichi che Tonino. Non da soli però. Ci saranno anche dei “tecnici”, personaggi in grado di guidare ministeri. Ci saranno anche i moderati del Terzo Polo di Pier Ferdinando Casini? Bersani di certo li vorrebbe con sé, ma ho l'impressione che coltivi molti dubbi. È rimasto invece nell'ombra il vero alleato dei democratici nella corsa verso Palazzo Chigi: la Cgil di Susanna Camusso. È il sindacato rosso il convitato di pietra nella plancia di comando di un ipotetico governo di sinistra. La linea politica resa esplicita in questi giorni dalla rocciosa Susanna è di una semplicità elementare. E si fonda su due convinzioni conclamate. Primo: il governo Monti è nemico dei lavoratori. Secondo: la nostra forza è assai più grande e coesa di quella del Pd.  Può sembrare assurdo, ma in questo tormentato 2012 l'unico a non avere paura del futuro è il sindacato rosso. Gli analisti politici si erano distratti nel seguire i problemi del governo tecnico. Senza rendersi conto di una verità: la Cgil è un dinosauro che poteva apparire in sonno, ma non era affatto estinto. Il dinosauro è vivo e vegeto. Lo tiene in vita e in battaglia un gruppo dirigente inchiodato al passato, anche al proprio passato personale. È sufficiente osservare i volti dei capi Cgil che hanno ripreso a mostrarsi nei talk show televisivi. Un esempio per tutti? Il compagno Fulvio Fammoni, un segretario nazionale molto preparato e a suo modo telegenico, perché sembra uscito da una vecchia foto di gerarchi sovietici. La Cgil sta iniziando un'altra delle sue tante esistenze. Sembrava messa in crisi dalla recessione e dalla nascita di piccoli gruppi che la contestano da sinistra. Per non parlare della vera spina nel fianco: la Fiom-Cgil di Maurizio Landini, un leader che rende impossibile alla casa madre qualunque contrattazione ragionevole. Viagra sindacale Il viagra di Camusso e compagni è l'aver ritrovato il nemico e, insieme, le battaglie della propria giovinezza. Il governo Berlusconi era soltanto un avversario di serie C. Ma nei confronti del governo Monti la musica può finalmente essere diversa. E lanciare segnali di guerra.  La Cgil sente di avere una nuova missione: mandare a picco l'esecutivo dei padroni del vapore, ossia le imprese, le banche e la finanza europea. Sostenuto da un ex comunista come Giorgio Napolitano, un compagno troppo paralizzato dal timore che l'Italia vada a ramengo. Ma dei rischi che corre il paese, allo squadrone rosso guidato da Camusso & C. non importa nulla. Oggi la Cgil è pronta a scendere in battaglia per dare voce a tutti gli scontenti che la crisi sta moltiplicando. Temo che vedremo la versione italiana di un sindacato greco, pronto a mobilitarsi in tutti i modi e in tutte le sedi. Rilanciando il vecchio slogan di Rifondazione comunista: «Anche i ricchi devono piangere». In realtà, dietro la tutela dei diritti dei lavoratori, si nasconde la difesa intransigente della casta del sindacalismo professionale. Per questo motivo, la Cgil ha già avviato una mobilitazione che sarà «dura e articolata», come ha promesso il compagno Fammoni: «Non sarà una fiammata, abbiamo il dovere di portare a casa dei risultati prima che si avvii un biennio di espulsioni di massa nelle aziende». La Cgil cercherà di ottenerli durante il dibattito parlamentare. Dunque, insieme al Vietnam garantito da Di Pietro, ce ne sarà un altro, ben più infuocato. Che cosa pensa di Bersani e dei democratici il dinosauro di corso d'Italia? È ancora troppo presto per comprenderlo sino in fondo. Ma nella nebbia che avvolge le strategie delle sinistre italiane, si fa largo un fantasma: Bersani si troverà faccia a faccia con la strapotente Cgil. E dovrà farci i conti. Un incubo per le notti del compagno Pier Luigi. Ma l'incubo vero sarà un altro. Che cosa faranno i tanti elettori moderati di fronte al rischio di vedere al governo il trio di Vasto a braccetto con una padrona esigente quanto madama Camusso? Se volete un'ipotesi, eccola: invece di astenersi, correranno in massa alle urne per sbarrargli il passo. E nel caso che trovino come alleato il professor Monti sceso in politica, per Bersani & C. non sarà facile vincere. di Giampaolo Pansa

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