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Reintegro per operai Melfi Giudici già sfascia-riforma

Per i giudici della Corte d'Appello devono essere reintegrati i tre lavoratori che boicottavano la produzione. Un assist al Pd

Lucia Esposito
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Il composito fronte sindacale e politico che in queste ore affina le armi in vista della lunga battaglia parlamentare sulla riforma del lavoro ha fatto il tris. Di santini. Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli della Fiom - i tre operai di Melfi che la Fiat aveva licenziato con l'accusa di avere sabotato una linea di produzione durante uno sciopero per poi essere costretta dalla magistratura a reintegrare - sono diventati una potente freccia all'arco dei no-riforma. Tutto merito dei magistrati della Corte d'Appello di Potenza che ieri, con apprezzabile tempismo sull'attualità, hanno reso note le motivazioni della sentenza con cui avevano intimato al Lingotto il reintegro dei tre. Motivazioni nelle quali si sostiene che quei licenziamenti erano «nulla più che misure adottate per liberarsi di sindacalisti che avevano assunto posizioni di forte antagonismo». Nelle 67 pagine redatte dai magistrati, la linea dei tre operai appare sposata in pieno. Quello che per Fiat fu sabotaggio (il carrello della linea produttiva stoppato nella notte tra 6 e 7 luglio 2010 durante il citato sciopero) per i giudici fu tutt'altro: intanto perché non è stato infranto il divieto di «ledere la capacità del datore di riprendere l'attività dopo lo sciopero». E poi perché mica c'erano solo loro tre davanti ai quei carrelli. Ci sarebbero state anche altre tute blu alle quali, sottolineano i giudici lucani, «la Fiat non ha contestato nulla». Questo premesso, diventa agevole capire come Barozzino, Lamorte e Pignatelli siano destinati a diventare le icone di chi si oppone alla riforma del mercato del lavoro. Il  principale argomento di costoro è che i licenziamenti economici serviranno a celare quelli disciplinari e discriminatori. E che quello che, a sentire la Fiat, si annunciava come la mamma di tutti i licenziamenti per giusta causa sia stato invece bollato dai giudici come atto discriminatorio ed antisindacale, è un assist da leccarsi i baffi. Non a caso, ad agenzie ancora calde, nell'ala sinistra del Pd sono stati lesti a mettere in correlazione il caso Melfi con la riforma del governo. L'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, capofila del fronte del no interno al Pd, dichiara che «Le motivazioni dimostrano quanto sia necessario mantenere alta la guardia sul tema dei licenziamenti perché il rischio di attività antisindacali, o di licenziamento discriminatorio mascherato, è molto alto, anche in grandi aziende nelle quali esiste una forte presenza sindacale». Fa eco Felice Belisario dell'Idv: «Mi batterò dentro e fuori il Parlamento perché gli iscritti Fiom non siano oggetto di discriminazioni e vessazioni». di Marco Gorra

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