Cerca
Logo
Cerca
+

Mughini: La (brutta) storia dei volantini Br

Da Bolaffi, a Milano, vengono battuti 17 volantini originali delle Brigate rosse, compreso quello che annunciava l'esecuzione di Moro

Matteo Legnani
  • a
  • a
  • a

Nei giorni in cui i giornali hanno annunciato l'imminente asta Bolaffi (oggi a Milano) in cui saranno messi in vendita 17 tra volantini e comunicati della banda detta “Brigate rosse”, un mio amico mi ha mandato una mail così: «Ma che idea è questa di collezionare dei volantini scritti da un Mario Moretti?». Per chi non lo ricordasse  Moretti era il capo delle Br al momento dell'agguato ad Aldo Moro e alla sua scorta. È particolarmente di suo pugno il comunicato del 15 aprile 1978 (fa parte del lotto offerto a partire da 1500 euro) dove si dice concluso l'interrogatorio del “prigioniero” Aldo Moro e dunque emessa la sua condanna a morte. In realtà Moretti armeggerà sino all'ultimo nel tentativo di barattare la vita di Moro con la messa in libertà di qualche Br di secondo piano. Ancora l'8 maggio farà una lunga telefonata a rappresentanti della famiglia Moro perché si adoperino a ottenere lo scambio. E fino alla mattina del giorno dopo, quando i brigatisti tirano via Moro dalla prigione grande quanto un letto dov'era stato rinchiuso per 53 giorni, lo mettono in una cesta per la biancheria, lo portano giù in garage, e nel momento in cui lo hanno fatto rannicchiare nel cofano della Renault rossa è lo stesso Mario Moretti a sparargli a bruciapelo una scarica di quella mitraglietta Skorpion che faceva parte del suo armamentario di “idealista”, per come la bella e babbea attrice cinematografica francese Fanny Ardant ha una volta definito i brigatisti rossi italiani. Errori storici  No, il mio amico che dubitava dell'importanza dei volantini Br si sbaglia alla grande. Non fossi in una tale quaresima economica, eccome se non concorrerei all'acquisto di quei documenti essenziali e drammatici di un periodo tra i più terribili della nostra storia. Certo che sono documenti da cui gronda il sangue e su cui sono rimaste impresse le impronte digitali degli assassini. Ma come faresti a ricostruire la storia del Novecento senza i documenti che grondano sangue? Grondano o no sangue i primi pamphlet politici del capo del bolscevismo russo, quel Validimiro Ulianovic Lenin che scriveva papale papale che uccidere “il nemico di classe” era l'azione più umana che si potesse compiere in una società divisa in classi? E dunque che fai, rinunci a tenere in biblioteca i testi di uno degli uomini che hanno cambiato volto al mondo? Oppure, il fatto di essere un libro che annuncia i massacri di cui saranno capaci i nazi durante la Seconda guerra mondiale, toglie nulla al valore storico e documentario della prima edizione del Mein Kampf, il libro che Adolf Hitler dettò in carcere al camerata Rudolf Hess e che purtroppo quasi nessuno lesse a capire che razza di criminale stesse entrando in campo? E ancora. Museo del Novecento  Un museo dedicato alla storia del Novecento dovrebbe o non dovrebbe mettere in mostra i manifesti appiccati sulle strade della Parigi occupata con cui i nazi annunciavano l'avvenuta rappresaglia sotto forma di 50 patrioti francesi fucilati per un tedesco ucciso alle spalle da partigiani francesi comunisti? Se voi toglieste al Novecento le sue brutalità, i suoi massacri, i suoi terrorismi, che storia ne resterebbe se non una storia dolciastra e fasulla? In un'eventuale mostra dedicata agli anni di piombo in Italia voi la includereste o no la copia del 18 maggio 1972 del quotidiano Lotta continua, quella con l'editoriale di prima pagina in cui è scritto che l'omicidio del commissario Luigi Calabresi è una cosa che metterà di buon umore “gli sfruttati”? (Quest'ultima citazione la dedico al regista Marco Tullio Giordana, il cui recente film che ha tra i suoi protagonisti Calabresi mi pare non nomini neppure di sguincio la Lotta continua del 1972). Fine di un'epoca E a non dire che quei volantini ciclostilati delle Br chiudono un'epoca della comunicazione e della propaganda, artistica o politica o terrorista che sia. Quel tempo della comunicazione e della lotta ideale in cui tutto passava per la carta e per la sua distribuzione di mano in mano, copia dopo copia. Quel tempo, nato all'alba del Novecento, in cui i futuristi lanciavano nei grandi teatri italiani di Roma o di Venezia i loro volantini culturalmente più provocatori, o quando per una loro manifestazione in un teatro di Catania (1913) il napoletano Francesco Cangiullo si inventò il lancio per le strade della città di volantini color arancione su cui non era scritto assolutamente nulla. Oppure quando la pattuglia di surrealisti francesi capeggiati da André Breton si dava appuntamento in una piazza del Quartiere Latino e avevano appena il tempo di distribuire qualcuno dei loro “tracts” che già era già arrivata la polizia a tentare di sequestrarli. Più tardi, al tempo della Seconda guerra mondiale e di un'Europa su cui batteva il tallone nazi, i volantini prodotti e distribuiti dai partigiani francesi o da quelli italiani, volantini che le staffette partigiane si portavano dietro nelle loro sporte della spesa a rischio di essere torturate e messe a morte. Leader storici Ancora nei torridi anni Sessanta e Settanta italiani, la guerra delle varie fazioni politiche a promuovere i propri volantini si faceva talvolta furiosa. Se dicevi di non volerlo un volantino dov'erano idee diverse dalle tue, finiva a cazzotti. Un mio amico mi raccontò della volta che all'Università di Roma alcuni studenti di destra gli avevano messo sotto il naso un volantino in cui chiedevano clemenza per l'ufficiale francese condannato a morte per avere comandato l'attentato (fallito) dell'Oas contro Charles de Gaulle. Il mio amico respinse il volantino e finì a baruffa. Tra parentesi l'ufficiale francese condannato a morte si chiamava Jean Bastien-Thiry, e una ventina di anni fa comprai e lessi con grande interesse una plaquette che gli era stata dedicata dai suoi sodali. Quanto ai volantini delle Br, non ricordo di averne mai avuto in mano uno. L'operaio comunista genovese Guido Rossa pagò con la vita il fatto di avere denunciato un operaio della sua fabbrica che li distribuiva (e che poi si suicidò in carcere). I Br gli avevano teso un agguato con l'intento di azzopparlo ma poi uno di loro, Riccardo Dura, ci ripensò e tornò indietro a sparare al petto di Rossa. Al tempo del ratto di Moro i Br romani andavano a collocare i testi delle loro rivendicazioni nei cestini della spazzatura per poi telefonare a un qualche giornalista e dirgli dove andare a cercarli. Da uno di quei volantini la polizia risalì alla macchina su cui erano stati battuti prima di passarli al ciclostile e individuò una mini stamperia brigatista e quelli che la frequentavano. Sui giornali italiani divampò la polemica se farli conoscere o no i testi di quelle rivendicazioni. Uno dei leader storici del socialismo itaiano, Riccardo Lombardi, disse che andavano fatti conoscere senz'altro, a far vedere che razza di idioti fossero i brigatisti. Roba di un altro millennio a paragone di quello che fanno oggi i terroristi al mondo: sgozzare un ostaggio, filmare il tutto e mandare la cassetta a un canale televisivo. Hanno fatto così con il giornalista americano Daniel Pearl, la cui unica colpa era di essere ebreo. Niente più ciclostile. Cassette, a raccontare l'orrore. di Giampiero Mughini  

Dai blog