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Vuoi offendere qualcuno? Meglio non essere laureati

La Cassazione boccia il ricorso di un medico: gli insulti pronunciati da chi ha un elevato livello culturale comportano un'aggravante

Nicoletta Orlandi Posti
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Sappiate che se volete offendere o diffamare qualcuno è meglio rimanere ignoranti. Guai a essere laureati. Quando si pronunciano frasi offensive, nei confronti di qualcuno, è bene possedere al massimo la licenza liceale.  Secondo una recente sentenza della Corte Cassazione un laureato quando diffama sa quel che dice, quindi non ha scusanti. Insomma in caso di  “dibattito” serrato tra due persone la laurea in Lettere, Giurisprudenza o Medicina, potrebbe trasformarsi in un tremendo boomerang, se si pronunciano parole ingiuriose. Ecco quanto è accaduto ad Andrea T., un medico di Roma, accusato di diffamazione per una e-mail inviata a 2.500 pazienti dello studio dove lavora. La colpa del medico è stata quella di aver spedito una mail nella quale comunicava che un collega non operava più nello studio medico da lui guidato. «In quanto», si legge nella sentenza, «lo stesso era stato allontanato per non dequalificare lo studio e perchè si voleva salvaguardare la qualità delle prestazioni professionali che lo studio poteva offrire, anche a scapito della qualità delle prestazioni». Una missiva affatto gradita al collega che ha preso subito provvedimenti legali denunciando Andrea T. per diffamazione. Morale della favola il dottore dalla mail facile non solo è stato condannato, in primo e in secondo grado dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Roma (luglio 2011), per il reato punito dall'articolo 595 Codice penale  - “Commette il reato di diffamazione [art. 595 c.p] chi offende l'altrui reputazione in assenza della persona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a euro 1032.91” - ma ha perso anche in Cassazione.  Andrea T., infatti, aveva fatto ricorso per dimostrare che la mail non aveva alcun intento denigratorio, nei confronti del collega, ma era volta ad informare i pazienti del fatto che un medico non era più operativo nello studio medico.  A Piazza Cavour non hanno creduto alle motivazioni del titolare dello studio. Con la sentenza “11660”   hanno infatti bocciato ricorso del professionista, evidenziando che in presenza di «espressioni socialmente denigratorie» un laureato non ha scuse dato «l'elevato livello culturale».  Più precisamente, si legge, «deve ritenersi che l'agente sia pienamente consapevole della portata offensiva delle stesse e nessuna particolare indagine appare necessaria per accertare, in assenza di concreti elementi di segno contrario, la mancanza della consapevolezza di tale offensività e della intenzionalità della condotta». di Chiara Pellegrini

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