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Marò, l'autogol del governo: s'allea coi sikh odiati in India

Il ministro Riccardi promuove raccolta firme tra i cittadini indiani in Italia. Che però non sono benvisti nel loro Paese

Matteo Legnani
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«La situazione è molto difficile, ce la mettiamo tutta. Se qualcun altro oltre a mettere qualche striscione ha delle idee, aspettiamo di conoscerle». Napolitano ha espresso il problema, e non si può dire che all'interno del governo un contributo non sia venuto. Storico leader di quella Comunità di Sant'Egidio nota per il suo impegno sia nella cooperazione allo sviluppo che nel rapporto con gli immigrati, il ministro per la Cooperazione e l'Integrazione Andrea Riccardi si è effettivamente visto consegnare una raccolta di 4000 firme di cittadini indiani in Italia a favore dei due marò detenuti in India. Una buona notizia. Forse. Si intravede già qualche problema di spendibilità effettiva. I firmatari erano infatti tutti sikh: considerata la terza religione storica indiana rappresentata nella bandiera nazionale, con il loro bianco assieme allo zafferano degli indù, al verde dei musulmani e alla ruota di Ashoka dei buddhisti. Nulla da stupirsi in realtà. Nati come tentativo di conciliazione tra induismo e islamismo prendendo «il meglio delle due tradizioni», i sikh sono l'1,87% della popolazione indiana, ma oltre il 52% di quella del ricco Stato del Punjab (che ha un reddito pro-capite triplo rispetto alla media indiana), rappresentano tradizionalmente il 10-15% dei membri delle forze armate, il 20% degli ufficiali, e sono anche la maggioranza degli indiani residenti in Italia: 80.000 su 130.000. Famosi per il loro spirito imprenditoriale, il loro senso dello Stato e il loro senso della comunità, in India riscuotono però anche una diffusa e invidiosa antipatia da primi della classe: qualcosa come gli ebrei in Europa, o i mormoni negli Usa. Oltretutto è facilissimo individuarli perché, dato che tra correligionari si considerano tutti fratelli, fanno tutti di cognome Singh, “leone”.  Infatti la petizione è stata presentata da  Lell Balbir Singh, responsabile religioso della Comunità sikh di Roma; da Karamjit Singh, responsabile in Italia del partito del Congresso al potere; e da  Harbhajan Singh, rappresentata della numerosa comunità sikh di Sabaudia. Vogliamo aggiungere che anche il primo ministro indiano, oltretutto noto tecnocrate, si chiama Manmohan Singh? Insomma, grazie amici sikh. Ma è forte il rischio che quello stesso tipo di agitazione anti-italiana che ha utilizzato i marò come arma polemica contro Sonia Maino Gandhi finisca per dire cose tipo: «eccola, Sonia che ha ordinato a Manmohan Singh di far firmare i suoi correligionari a favore degli italiani!». A meno che nella stessa petizione non si aggiungano anche cognomi diversi da Singh: vedremo… D'altra parte, in India la situazione è complicata come non mai. Di nuovo, l'Alta Corte ha bloccato la partenza della Enrica Lexie. E secondo quanto ha scritto il Times of India, la ragione sarebbe che secondo gli investigatori «una delle armi in dotazione ai militari dovrebbe ancora essere sequestrata». E da dove viene questo sospetto? In attesa di più precise notizie verrebbe da pensare che le armi già in possesso degli indiani non concordino con i risultati della perizia balistica, e che invece di trarne la conseguenza che non sono stati i marò a sparare si siano messi in testa di rastrellare la mano fino a quando l'arma non salterà fuori. Vorremmo veramente non dover aggiungere: o fino a quando non verrà fatta saltare fuori!  Comunque, anche ieri il sottosegretario Staffan de Mistura si è incontrato con i due in carcere assieme a rappresentanti degli Esteri e della Difesa, e nell'occasione ha consegnato loro regali e oggetti personali portati dalle famiglie. Ma i due hanno anche subito un nuovo interrogatorio da parte della polizia. di Maurizio Stefanini

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