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Ecco la patrimoniale sulla casa Sul mattone oltre venti balzelli

Penalizzati pmi e redditi bassi. Acquisto di un'immobile da 200mila euro: allo Stato se ne versano fino a 8mila. E poi l'Imu...

Andrea Tempestini
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Che si tratti di risanare i conti pubblici o finanziare gli ammortizzatori sociali, alla fine la musica non cambia: la mucca da mungere è sempre la casa di proprietà. In barba ad un carico fiscale spaventoso, che complessivamente può anche superare i 20 balzelli. L'ennesima stangata, col trucco, è contenuta nel provvedimento sulla riforma del lavoro, che ha sforbiciato senza troppe cerimonie la già esigua detrazione sui redditi da affitto. Ma è solo l'ultima di una lunga serie. Un salasso che, anche temporalmente, si va ad aggiungere ad altre decine di tasse già pagate in precedenza. Il calvario per il malcapitato che decide di diventare proprietario di casa inizia subito, al momento dell'acquisto. In questa fase il cittadino è già bombardato da una serie corposa di oneri fiscali. Si parte con il contratto preliminare, che pochi fanno per ovvi motivi, ma la cui registrazione dal 1986 è obbligatoria, con sanzioni previste fino al 240% delle imposte dovute. Ebbene, già qui bisogna pagare allo Stato lo 0,50% della caparra, il 3% sull'acconto, l'imposta di registro (fissa a 168 euro), i tributi speciali (fissi a 3,72 euro) e almeno due bolli da 14,62 euro l'uno. Il conto complessivo, per un immobile del valore di 200mila euro, con caparra e acconto di 20mila, si aggira sugli 870 euro. Senza ancora aver mosso un dito. Poi arriva il bello. Se si tratta di prima casa bisognerà sborsare il 3% sul valore catastale (il 7% se seconda) per l'imposta di registro, c'è poi l'imposta ipotecaria e quella catastale, entrambe di 168 euro ciascuna da pagare in misura fissa (2% e 1% per la seconda casa). Se invece vogliamo acquistare un immobile nuovo da un costruttore le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono tutte fisse a 168 euro, ma bisogna aggiungere l'Iva. Una mazzata che va dal 4% (prima casa) al 10% (seconda) sul valore effettivo dell'immobile. Il risultato, sempre prendendo in esame un immobile da 200mila euro, che ha una rendita intorno ai 500 euro, oscilla dai 1.500 euro nel migliore dei casi (acquisto prima casa da un privato) agli 8mila euro del peggiore (acquisto seconda casa da un costruttore). A tutto questo si dovrà aggiungere, se necessario, il peso del fisco sul mutuo. L'Agenzia delle Entrate, infatti, fa capolino anche sui prestiti ipotecari con un imposta sostitutiva che va dallo 0,25 al 2% del capitale richiesto, senza contare l'Iva sulla perizia ed eventuali marche da bollo per i certificati da consegnare alla banca. Ora che siete proprietari di casa potete e avete assolto i vostri debiti con il fisco per quanto riguarda la compravendita, potete iniziare a pagare le imposte annuali, su cui si è abbattuta la scure del governo Monti. Fare calcoli in questa fase è praticamente impossibile. Anche perché il governo, nella formulazione definitiva della legge di conversione del decreto sulle semplificazioni fiscali, si è riservato la facoltà di ridefinire le aliquote sulla base delle necessità di gettito entro il 10 dicembre 2012. Praticamente sette giorni prima che scade il termine del pagamento della seconda rata dell'Imu. Conosciamo, per ora, le aliquote base (quelle su cui bisognerà a giugno pagare un acconto del 50%), che per la prima casa è dello 0,4% sul valore catastale (da calcolare con un coefficiente rivalutato del 60%) e dello 0,76% per gli altri immobili. Come se non bastasse, i Comuni potranno aumentare (o diminuire) le aliquote dello 0,2% nel primo caso e dello 0,3% nel secondo. Per avere un'idea, un abitazione di 100 mq nel semicentro di Milano da 450mila euro può costarvi da 250 a 475 euro per la prima casa, quando fino allo scorso anno non pagavate nulla grazie all'abolizione dell'Ici tanto contestata del governo Berlusconi. Per la seconda casa (stesse caratteristiche) si va da 855 euro fino a 1.980 euro rispetto ad un balzello precedente di 680 in entrambi i casi. A questo bisogna poi aggiungere l'imposta di scopo comunale, il tributo per rifiuti e servizi, quello ambientale, il contributo per i consorzi di bonifica, e tasse varie per controlli e verifiche di ascensori, impianti termici, ecc. Legnate che variano da comune a comune. Come se non bastasse, Monti ha voluto mettere mano al regime dei redditi da locazione. Già, perché se decidete di dare in affitto la vostra casa, oltre ai balzelli già pagati, vi piombano sulla testa anche altre imposte. La strada classica è quella di registrare il contratto (e quindi pagare imposta di bollo e di registro), inserire i redditi nella dichiarazione Irpef e pagare in base al vostro scaglione (dal 23 al 43%). L'altra strada è quella della cedolare secca, con aliquota sostitutiva al 21 e al 19%. Ipotesi che, però, in alcuni casi, soprattutto per le fasce di reddito più basse, può risultare sconveniente. Ed ecco la manina di Monti. Fingendo di voler colpire solo gli immobili di imprese e professionisti, per coprire una parte della riforma del lavoro, ha abbassato la detrazione Irpef prevista sui redditi da affitto, nata come compensazione forfetaria delle spese vive sostenute dal locatore (il proprietario) per interventi di manutenzione e di gestione dell'immobile, dal 15 al 5%. Il governo, spiegando che la norma non toccherà la cedolare secca, scrive nella relazione tecnica che l'aggravio «coinvolgerà solo le locazioni ad uso abitativo». In realtà, come abbiamo visto andrà a colpire anche le fasce di reddito più basse e tutti quelli, che, per convenienza fiscale, non optano per la cedolare anche nel caso di immobili ad uso abitativo. Questo significa che la stima di gettito prevista (365 milioni l'anno) è destinata ad aumentare. Di sicuro, l'aumento delle tasse del 10% colpirà gli immobili ad uso produttivo, che non possono scegliere il regime della cedolare secca. La Cgia di Mestre ha calcolato che per una persona fisica con reddito di 25mila euro l'anno a cui si aggiunge l'affitto di un negozio l'aumento di imposta oscillerà tra i 1.200 e i 1.400 euro. «Questo significa», ha spiegato il presidente Giuseppe Bortolussi, «che allo scadere del contratto molti proprietari chiederanno l'aumento del canone». Risultato: un'altra bella stangata sulle Pmi. di Sandro Iacometti

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