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Troteide, tra ko a scuola e flirt Congiuntivo errato, ultimo atto

Il ritrattone del figlio del Senatùr che fino all'addio ha ripetuto: "Nessuno mi aveva chiesto di fare un passo indietro"

Andrea Tempestini
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Il 12 marzo 2005 Lugano pare la réclame della primavera: c'è un sole meraviglioso e i venti e passa gradi registrati dalle centraline regalano ai ticinesi un acconto di bella stagione come non se ne vedevano da un pezzo. La torma di gente che si accalca davanti alla storica casa di Carlo Cattaneo al numero 6.976 di Castagnola, però, non è lì per la rinascita della natura. C'entra, semmai, la rinascita della politica: il 12 marzo 2005 è in agenda la rentrèe di Umberto Bossi dopo l'ictus. In pochi lo immaginano, ma quel giorno è destinato a passare alla storia come quello dell'esordio pubblico di un altro Bossi. Renzo. Nella sorpresa generale, quando il balcone si apre e il Senatur fa la propria comparsa, il ragazzo è lì al suo fianco: «Aspettate», fa a un certo punto l'Umberto, «faccio gridare qualcosa a mio figlio». Il giovane - diciassette anni appena, una gran testa di riccioli neri e una straordinaria somiglianza col padre - scuote il pugno e urla un non  convintissimo «Padania libera!». I più si chiedono se sia nato un delfino, i meno - al solito meglio informati - sussurrano che il piano per la successione di Bossi ideato dalla moglie Manuela ha ingranato la marcia. «Quando passerò la mano», dirà Bossi senior pochi giorni dopo l'apparizione ticinese, «qualcosa di me resterà. La mia famiglia resterà al servizio della Lega». Da quel giorno, di Renzo si comincia a parlare sempre più spesso. Presenza fissa agli eventi clou del Carroccio come Pontida, Venezia e Monviso (senza contare le serate di Miss Padania), diventa l'ombra del padre. Il 16 novembre 2005, storica giornata in cui il Senato approva la devolution - con quali esiti si sarebbe visto solo più in là - Renzo è al fianco del padre (dietro, gli altri membri della famiglia) nel palco d'onore del Senato. Nel frattempo arrivano i primi incarichi nel partito. Niente di clamoroso, il ragazzo è ancora giovane, però da qualche parte bisognerà pure iniziare. Così a Bossi junior viene affidato il delicato ruolo di team manager della nazionale padana di calcio: un successone, coronato da tre affermazioni di seguito dei pedatori in verde ai mondiali per nazioni non rappresentate (l'ultima vittoria risale all'edizione 2010, coi temibili avversari del Kurdistan piegati per 1 a 0 in finale). Ma ormai è ora di incarichi più ambiziosi. Renzo inizia ad essere presenza fissa agli incontri dello stato maggiore del Carroccio a Palazzo Grazioli (con Berlusconi stesso ad incoraggiare la cosa). Nel 2008, dopo l'ennesima manifestazione in tandem sul Monviso, chiedono al Senatur se Renzo sia o meno il suo delfino: «In realtà assomiglia più a una trota», risponde lui. E Trota sarà. Da allora, l'ascesa di Bossi junior è fulminea. Ottiene prima l'incarico di responsabile dei media padani e poi un posto nell'Osservatorio sulla trasparenza e l'efficacia del sistema fieristico lombardo, sorta di organo di controllo sull'Expo 2015. Poco dopo esordisce come oratore sul palco di Pontida. La notorietà, però, non è tutta rose e fiori. Del giovane Bossi si parla sempre di più, e non sempre benissimo. Lui ci mette del suo: bocciato tre volte alla maturità (il padre proverà a mettere in mezzo non meglio chiariti «professori meridionali» che mal digeriscono la tesina federalista del pupo), riuscirà a conseguire il sospirato diploma - che nessuno però pare abbia mai visto - solo a ventuno anni suonati, e per giunta all'estero. Del curriculum universitario - «Studia economia», sostiene il padre - si sa ancora meno. Si dimostrerà più ferrato nel settore bella vita: macchinoni, discoteche, flirt con bellone della tv (anche qui non mancano i risvolti politici: «A miss Maglietta bagnata dei Giovani padani» rivelerà la starlette Eliana Cartella, «non mi sono piazzata “per ordini superiori”»). Una volta un guardiacaccia lo sorprende di notte mentre, in compagnia di un amico, sfreccia in quad nei boschi di Ponte di legno e per poco non gli spara una schioppettata. Il Trota è a pieno titolo nel jet set. Il punto di svolta, tuttavia, arriva nel 2010, con la candidatura alle Regionali lombarde. Poco meno di 13mila voti (si dice propiziati dai buoni uffici del cerchio magico bresciano, guidato dalla bossianissima Monica Rizzi) e posto assicurato al Pirellone. Il Trota è ormai un personaggio. Non che brilli per acume politico: negli annali, più che altro, restano interviste con congiuntivi spericolati e licenze di ogni tipo (una volta, per dire, fa confusione tra australiani e canadesi). L'attività in consiglio regionale - come documentato domenica da Libero - non è proprio frenetica. Ma ormai è chiaro che il Pirellone, per il Trota, altro non è che il trampolino di lancio per la successione al padre: la sua ascesa, col cerchio magico in poppa, pare inarrestabile e non sembra esserci gaffe in grado di intralciare il suo cammino. Fino agli ultimi giorni, con le voci sui soldi del partito usati per saldare i conti di automobili, viaggi e scuole all'estero. Fino all'autista che rivela: «Ero il suo bancomat». Fino all'annuncio del fatale passo indietro, «senza che nessuno me l'ha chiesto». L'ultimo insulto al congiuntivo, poi sipario. di Marco Gorra

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