Depp, il vino manda in rovina il matrimonio con Vanessa

Lucia Esposito

Dal giorno in cui si conobbero, nel dicembre del ’94 ad Aspen, tra Johnny Depp e Hunter S. Thompson fu amore a prima vista. L’attore era stato messo in contatto con l’autore di Paura e disgusto a Las Vegas da un comune amico e la prima impressione fu di un ardente discepolo che incontra il suo invasato profeta in un’aureola di scintille. Vere scintille. Hunter usciva da un locale affollato ruggendo: «Largo, bastardi!» e la gente schizzava da tutte le parti per evitare di essere fulminata dal pungolo per animali che brandiva con la mano sinistra e dal taser che stringeva nella destra. Thompson era chiaramente quel tipo di folle che un attore come Depp, sempre smanioso nella cella dorata della star hollywoodiana, aveva sperato di incontrare. Due anni dopo rovistavano tra alcuni scatoloni dello scrittore e saltò fuori il manoscritto delle «Cronache del Rum» (in Italia pubblicato da Baldini e Castoldi Dalai), il suo secondo romanzo scritto tra il ’59 e il ’60 e rimasto inedito dopo sette rifiuti dagli editori. Rileggendolo, Thompson disse: «Dio, non è male», e Depp: «No, è buono», e Thompson: «Ci si potrebbe fare un film», e Depp: «Lo dovresti pubblicare prima». Esperienza da scrittore - E così nel ’98 uscì il romanzo, basato, come tutti i libri di Thompson, su una sua assurda quanto effimera esperienza come giornalista per un’improbabile rivista di bowling a San Juan. Aveva ventidue anni e si era messo in testa, come ha dichiarato il suo amico Johnny, «di scrivere il grande romanzo portoricano». Il 24 aprile, a sette anni dal suo suicidio (ma in America è uscito a ottobre) lo spirito di Thompson – le cui ceneri, come da disposizione testamentaria, vennero sparate da un cannone in cima a una torre sulle note di «Tambourine Man» di Bob Dylan e «Spirit in the Sky» di Norman Greenbaum, cerimonia finanziata da Depp - potrà vedere il suo amico Johnny nella versione cinematografica che ha prodotto e interpretato, The Rum Diary. Cronache di una passione, diretto dall’inglese Bruce Robinson. Depp è Paul Kemp, il narratore del romanzo, uno scribacchino vagabondo sbarcato nell’inverno del ’58 a Porto Rico con un incarico presso lo spiantato quotidiano San Juan Daily News. L’ambiente è quello dei giornalisti ubriachi, squattrinati e disperati, parcheggiati nel più economico bar di San Juan (quando provano a protestare per il prezzo delle birre, il gestore espone i prezzi all’Hilton), tutti in attesa della grande occasione. Corsa nel deserto - Il libro è il prologo del Thompson di «Paura e disgusto», il capolavoro del cosiddetto stile «gonzo», dove l’autore, con l’aiuto di alcol, peyote, lsd e la compagnia di un colossale avvocato samoano non meno fatto di lui (in realtà il suo amico Oscar Zeta Acosta), trasformava un risibile reportage su una corsa automobilistica nel deserto del Nevada in un viaggio psichedelico.  «Come molti altri», racconta Kemp alias Thompson, «ero un cercatore, un randagio, un insoddisfatto, e a volte uno stupido casinista. Non me ne stetti mai senza far nulla così a lungo da poter pensare molto, ma sapevo che in qualche modo il mio istinto aveva ragione. Nutrivo un ottimismo da vagabondo circa il fatto che alcuni di noi stavano davvero facendo progressi, che avevamo preso una strada onesta, e che i migliori di noi sarebbero arrivati in cima. Al tempo stesso, nutrivo l’oscuro sospetto che la vita che conducevamo era una causa persa, che eravamo tutti attori che si prendevano in giro in un’odissea priva di senso. Era la tensione tra questi due poli – un inquieto idealismo da un lato e un senso di incombente catastrofe dall’altro – che mi teneva in marcia».   Finzione o realtà? - Parole che Depp deve sentire intimamente, dato il grado con cui, negli anni, si va identificando con Hunter S. Thompson. Alla prima del film a New York si è presentato barcollando, sorretto dalla guardia del corpo, in sospetto stato di ubriachezza. Il suo matrimonio con l’attrice e cantante Vanessa Paradis sarebbe periclitante per colpa del vino.  Il compianto Hunter, che lo chiamava alle tre di notte per chiedergli, in evidente stato di alterazione da stupefacenti, cosa ne sapesse della patologia della lingua nera villosa, sarà fiero di lui. di Giordano Tedoldi