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Vittorio Feltri, la vita agra del cronista a Milano: perché la professione è cambiata in peggio

Vittorio Feltri
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Sul Corriere della Sera della scorsa domenica ho avuto il piacere di divorare una avvincente cronaca di Aldo Cazzullo, sulla quale ho seguitato a riflettere in questi giorni. Già questo significa che il pezzo era non soltanto scritto bene ma esso anche rispondeva al requisito fondamentale, anzi indispensabile, che dovrebbe possedere ogni articolo, ovvero suscitare l'interesse e l'attenzione del lettore tanto da indurlo ad una riflessione approfondita che prosegua ben oltre i limitati tempi di lettura. È vero, i giornali hanno vita breve, però i messaggi che essi contengono dovrebbero, in teoria, non morire mai. Cazzullo raccontava il suo viaggio, della durata di una notte intera, a bordo di un taxi che si muove perla metropoli milanese del nuovo millennio, molto diversa dalla Milano degli anni Ottanta e Novanta.

 

 

Un inciso: i giornalisti di oggi sono pigri, se ne stanno chiusi nelle redazioni a passare note vergate da altri, asettiche, fredde, prive di emozione, quindi sterili. Non fanno informazione, fanno i passacarte e lo fanno pure senza entusiasmo, senza vitalità, alla stregua di impiegatucci interessati solo ad incassare lo stipendio e tornarsene a casa. Ecco perché il nostro mestiere sta crepando, e noi continuiamo a dare la colpa ai lettori, i quali fanno bene a non leggerci più, hanno tutta la mia stima e la mia solidarietà. Gaetano Afeltra, direttore de Il Giorno, mi diceva: «Consuma le scarpe e conserva l'intelligenza». Ed io ho cercato di trasmettere questo tipo di giornalismo ai giornalisti che mi sono stati vicino, nei quali ho ravvisato passione e talento, poiché senza passione non vai da nessuna parte, sia chiaro. Il cronista deve muoversi, camminare, guardare con i suoi propri occhi, ascoltare, annusare l'aria, sentire. Proprio così, deve sentire, ossia emozionarsi, perché, se non si emoziona, come diavolo può narrare arrivando al cuore di chi legge? La verità si trova nella emozione, non nella gelida nota.

 

 


SPIRITO D'OSSERVAZIONE
Per fortuna, c'è chi ancora, come Aldo Cazzullo, di notte esce e se ne va in giro per osservare ciò che il lettore distratto non ha visto o non ha potuto vedere. Cazzullo viaggia sul taxi, occasione per spiegarci anche la condizione dei tassisti oggigiorno; io viaggiavo sulla volante della polizia, per dipingere la Milano notturna degli anni Settanta e Ottanta. Le prostitute allora erano sui marciapiedi, ora, come apprendo tramite Cazzullo, sono negli alberghi e nei ristoranti di lusso. La metropoli sembra all'apparenza più tranquilla, in verità è l'esatto contrario. Prima ci si divertiva, adesso ci si sballa.

 

 

 

Prima si faceva l'amore, tanto, tantissimo, ora si scopa a pagamento. Prima si girava armati, ora però il livello di aggressività è cresciuto, è ai massimi storici. Coppie che non si rivolgono la parola durante la corsa sul taxi, escort che raggiungono un altro cliente, ragazzi che si sballano sul sedile posteriore, gente che vomita dopo la notte brava in discoteca, delinquenti che sfondano i vetri del veicolo per rubare, farabutti che cercano di non pagare, che aggrediscono i tassisti, che colgono ogni occasione o pretesto per fare esplodere la violenza. E poi l'anziana donna che dorme per strada e ha freddo, mentre questa feroce città di zombie è intenta nelle sue meccaniche azioni e non si accorge di lei, che non dovrebbe essere lì, ma al sicuro, in una casa, in un letto. Il quadro che ne emerge è terribilmente crudo e desolante. È la moria dei rapporti umani, che accomuna tutte le città d'Italia, anzi del mondo. Non parliamo più, non ascoltiamo più. E la cosa più strana, insolita, stupefacente accaduta quella notte a Milano è proprio questo dialogo, in gran parte muto, tra un cronista appassionato e un tassista malinconico, avvenuto nella stretta cabina di un'auto. 

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