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Albertini, "cosa dovrebbe fare Beppe Sala": lezione dell'ex sindaco

di Claudia Osmetti sabato 19 luglio 2025

5' di lettura

Gabriele Albertini, l’ex sindaco di Milano Albertini, ha due virtù che al giorno d’oggi sono rarissime: è una persona che ti lascia finire di porre una domanda prima di rispondere ed è un granitico garantista. Non lo smuovi, non gli fai cambiare idea: «Beppe Sala dovrebbe dimettersi solo perché è indagato in quella che adesso è la maxi-inchiesta sull’urbanistica milanese ma un domani chissà come finirà? Assolutamente no, convintissimamente no», dice. «Quando ero senatore mi sono occupato del disegno di legge sull’ingiusta imputazione proprio perché io stesso sono stato ingiustamente imputato per calunnia aggravata per aver segnalato, ai titolari dell’azione disciplinare, le scorrette disdicevoli condotte proprio di un pm della procura milanese: mi sono fatto diciassette udienze. Non si scherza su queste cose».

Dottor Albertini, non deve convincere me. A proposito, poi come è andata?
«Sono stato dichiarato innocente sul piano penale, però ho pagato lo stesso».

In che senso?
«Nel senso letterale. Il mio avvocato era un amico, mi ha fatto lo sconto: ma la parcella me l’ha presentata lo stesso. È allora che mi è venuta l’idea di scrivere una norma a riguardo. Se vieni riconosciuto innocente con formula piena perché devi subire un danno economico? Ma lo sa qual è l’aspetto più grave?»

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Quale?
«All’anno ci sono oltre 90mila innocenti da ingiuste imputazioni. E se sono così tanti è possibile, secondo lei, che un presidente di regione, un ministro, un sindaco o chiunque sia stato eletto dai cittadini, perla sola opinione di un paio di pubblici ministeri che saranno pure persone degnissime e nessuno lo mette in dubbio, sia costretto a fare un passo indietro?».

Eppure anche una certa sinistra forcaiola grida alle dimissioni di Sala.
«I Cinque stelle sono anime perse, non tocchiamo neanche la corda. Ciò che mi ha sconcertato, semmai, è che questa linea d’azione sia stata portata avanti da alcuni esponenti del partito dell’attuale ministro della Giustizia che io considero il miglior Guardasigilli della Repubblica».

La premier Meloni ha detto chiaro che “un avviso di garanzia non può portare alle dimissioni”.
«Mi fa piacere. Il suo governo sta sviluppando un’ottima riforma della Giustizia in direzione garantista: considero un’assurdità, quantomeno una contraddizione incredibile, chi oggi sostiene le dimissioni di Sala».

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«Nei miei due mandati abbiamo speso in opere pubbliche più di qualsiasi altra amministrazione precedente e successiva, oltre sei miliardi di euro, e abbiamo fatto arrivare più di 30 miliardi di capitali dal mondo. E sì, non abbiamo avuto un avviso di garanzia. Siamo stati fortunati o c’è stata una differenza di condotta?
In tutta modestia non posso dire che non propenda per la seconda ipotesi. Guardi, il primo giorno che ho passato a Palazzo Marino ho incontrato l’allora procuratore capo Borrelli e non mi sono fatto problemi a chiedergli aiuto. Gli ho detto: “Non ci conosciamo, però io vorrei rigenerare la città e desidero che ciò avvenga senza che lei debba lavorarci, mettiamoci d’accordo”».

Non le domando se ha funzionato perché è sotto gli occhi di tutti.
«Sa che cosa mi disse Hines quando, dopo aver investito due miliardi e mezzo, gli chiesi come mai l’avessi fatto? Mi disse: “Perché ci siamo informati e non c’è un cartaro nella sua amministrazione”. La legalità è un modo per fare arrivare i capitali. Intendiamoci, non sto giudicando questa amministrazione per la sua, diciamo così, disinvoltura».

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A giudicare, semmai si arriverà al punto, sarà la magistratura. Tuttavia la politica è fatta anche d’altro. Sala fa bene a restare dov’è, ma con le condizioni che si sono create è davvero in grado di governare la prima città produttiva d’Italia?
«Questa è l’altra faccia del problema, è vero. Se scatta la gogna mediatica diventa difficile, soprattutto se mina la coesione della sua maggioranza e lo fa diventare una lame duck, un’anatra zoppa, come dicono gli americani. In questo scenario sì, potrebbe essere opportuno valutare le dimissioni. Ma mai in relazione a un mero avviso di garanzia, semplicemente perché le condizioni quadro diventano insufficienti per poter svolgere il mandato».

E il centrodestra cosa deve fare? Come fa a prepararsi per l’appuntamento elettorale che magari non sarà anticipato, ma il 2027 è dietro l’angolo?
«La prima responsabilità di questa amministrazione è stata schierarsi su posizioni verdi talebane. In particolare contro con le auto, mettendo mille vincoli a chi giuda. Io stesso ho dovuto prendere una Pandina hybrid. Avevo la vecchia 4x4 Euro 5 diesel, a Milano non potevo più girare. Per me non è stato un problema, ma il pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese come fa? E chi lavora? Tra l’altro i trasporti sono responsabili per il 21% dell’inquinamento. L’autotrazione vale il 45% di questo 21%, ma di cosa stiamo parlando?».

Faccio l’avvocato del diavolo: quello che dice è verissimo, ma è verissimo anche che un milanese su tre viaggia regolarmente in bicicletta perché gli piace, perché è ecologico, perché son fatti suoi. Ignorarlo, ai fini elettorali, non è controproducente?
«Montanelli una volta mi ha definito “uno che non ha l’uzzolo del potere”. Di questi calcoli non ne faccio. Faccio delle scelte e le faccio sulla base del buon senso. Se riguardasse me farei una campagna elettorale sulla razionalità. Sul piano logico, negli ultimi anni, si è buttato tempo e si sono buttati un miliardo e mezzo di euro in capitali privati che avrebbero potuto rigenerare, per esempio, l’area di San Siro. Basta a convincere chi vota? Vedremo, certo molto dipende anche dal candidato del centrosinistra: sfidare Mario Calabresi è una cosa, sfidare Pierfrancesco Majorino un’altra».

La domanda da un milione di dollari. Anzi, no: guardi che io non ce l’ho un milione di dollari da darle. Se chiedessero a lei di riprendere la fascia tricolore?
«Facciamo che se ci fossero 100mila milanesi che me lo chiedono potrei prendere in considerazione l’idea di convincere mia moglie a non opporsi. È una battuta anche la mia, a scanso di equivoci».

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