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Filippo Facci: i candidati dei moralisti a intermittenza

Andrea Tempestini
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Con tutta l'antipatia che si può avere per Claudio Scajola - parecchia, nel caso di chi scrive - c'è da dire che le ragioni per cui sarà escluso dalle Europee paiono buffonesche: legittime ma buffonesche, tanto da far comprendere come lo status giuridico di un candidato in Italia non conti assolutamente nulla, a destra come a sinistra. La discrezionalità nel compilare le liste resta massima com'è sempre stata: l'unica differenza è che da qualche tempo primeggia un moralismo, ufficialmente legato alle inchieste della magistratura, ma sostanzialmente ancorato alla reazione (differenziata) che la stampa dedica a esse. Per Scajola, Forza Italia poteva dire: ci sta sulla balle, è vecchio, è ingombrante, qualsiasi cosa; invece Giovanni Toti ha detto: «Nonostante l'assoluzione, la vicenda della casa al Colosseo ha pesato troppo». Con il che si ufficializza che neanche le sentenze contano più nulla, conta semmai ciò che giornalisti e opinionisti pensano di queste sentenze. Confesso: sono andato a leggermi quella che ha assolto Scajola (vorrei sapere quanti colleghi hanno fatto altrettanto) e da pagina 32 a 39 è spiegato piuttosto bene che il famoso appartamento al Colosseo non valeva assolutamente il famoso milione e 700 mila euro: Scajola, dunque, pagò un prezzo che aveva ragione di ritenere congruo. Ma questo non conta nulla. Non conta l'opinione di un magistrato e figurarsi la mia. Scajola appartiene a un elenco di politici sui quali i giornalisti - mi ci metto in mezzo anch'io - non sono disponibili a resipiscenze. Nichi indenne Prendete invece Nichi Vendola, che è governatore della Puglia e capo di un partito. La sua telefonata intercettata e pubblicata, quella in cui ride di un giornalista che aveva fatto una domanda sull'Ilva e sui tumori, avrebbe annientato chiunque: puf, scomparsa, e se vai su Wikipedia - dove vengono contati i peli del sedere di mezza classe politica italiana - neppure se ne parla. Peraltro si tratta dello stesso uomo - Vendola - che il 6 marzo è stato rinviato a giudizio per concussione aggravata in quanto avrebbe fatto pressioni perché fosse chiuso un occhio sul rilevamento dei veleni dell'Ilva: ma niente, come se fosse successo a un altro, eccolo lì che sdottoreggia sulla lista Tsipras. Ci sono stati momenti, in Italia, in cui ti candidavano anche se buttavi le bombe per strada; e altri momenti in cui non ti candidavano se risultavi anche solo multato per divieto di sosta. Ora, anno 2014, siamo alla discrezionalità pura, alle simpatie o antipatie, ai sondaggi dell'ultim'ora: le inchieste influenzano, ma non determinano. Sarà giusto così. Veti e discrimini Sta di fatto che un veto assoluto sugli inquisiti o sui rinviati a giudizio, anche alle scorse elezioni politiche, non l'ha mantenuto praticamente nessuno (con l'eccezione, forse, di Fratelli d'Italia e di Fare per fermare il declino) e c'è stato il massimo discrimine tra un inquisito e l'altro, tra un «impresentabile» e l'altro. Nell'ex popolo della Libertà c'è stato il casus belli di Nicola Cosentino: escluso perché indagato (e ai tempi neppure processato) mentre in lista restava il suo l'amico e collega Luigi Cesaro, pure lui indagato per i suoi presunti rapporti con i casalesi. Nel Pd, pure, nessuno obiettava sulla cronista Rosaria Capacchione - rinviata a giudizio per calunnia, prosciolta dopo l'elezione - che evidentemente alla libera stampa non interessava. Il comitato dei garanti del Pd, sempre per le elezioni 2013, fece fuori il candidato Antonino Papania per un abuso d'ufficio (2 mesi e 20 giorni) e così pure Vladimiro Crisafulli, solo rinviato a giudizio per lo stesso reato, mentre il campano Nicola Caputo - fatto fuori anche lui - figurava solo indagato per rimborsi falsi. In compenso rimanevano candidati Nicodemo Oliverio (imputato per bancarotta fraudolenta) e Francantonio Genovese (indagato per abuso d'ufficio) e Andrea Rigoni (condannato e prescritto per costruzioni fuori norma) e ancora Giovanni Lolli (a processo per favoreggiamento, poi prescritto). Onesti e no E poi c'è il Pdl. Laddove ora si eccepisce su Scajola, benché prosciolto, si candidava tranquillamente l'ex presidente della Regione Puglia Raffaele Fitto (chiesti sei anni di reclusione per corruzione e finanziamento illecito e peculato) e nessun problema per l'indagato Roberto Formigoni. Uno come Denis Verdini, indagato per la P4 e per truffa, addirittura le liste le compilava. Un neo «montiano» come Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc, uno perennemente inguaiato, è stato dapprima condannato a 3 anni e 3 mesi (tangenti) ma poi la prescrizione ha risolto tutto; invece Enzo Carra, condannato per una falsa testimonianza nel lontano 1993 (16 mesi, in base a una norma poi abrogata) dalle liste rimase fuori. Proseguiamo? No. Il concetto è chiaro: oggi le candidature vanno come vanno, talvolta si delega ai sondaggi dell'ultimo minuto sulla base della volubile reputazione di un inquisito rispetto a un altro. Le liste, a turno, rischiano di compilarle i giornalisti o i magistrati con le loro inchieste o campagne percussorie: il che andrebbe anche bene, se davvero giornalisti e magistrati fossero la crema del Paese: anziché essere - come sono - italiani come gli altri, a tutti gli effetti, a tutti i difetti. di Filippo Facci

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