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Filippo Facci: "Benetton punta sui migranti e i conti affondano". Il disastro finale di Oliviero Toscani

Giulio Bucchi
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Non c' è niente da fare, quella di far girare le palle è una vocazione naturale (benché travestita da «provocazione») e Oliviero Toscani questa vocazione ce l' ha, e con lui i Benetton intesi come il marchio di vestiti per cui li conosciamo da decenni. Non è un gran momento per loro, visto che la gente comune e non comune ormai li associa non tanto all' abbigliamento quanto al crollo di un ponte genovese che ha fatto 41 morti, unico loro business dalle uova d' oro - la società Autostrade, con annessa manutenzione - rispetto a una società di abbigliamento che è uno spaventoso fiume di perdite. Ma fa niente, anche ieri «United colors of Benetton» troneggiava su due pagine di Repubblica con due pagine che, ora che la famiglia di Ponzano Veneto è negativamente sotto i riflettori, sembra voler far innervosire una bella fetta d' Italia trasversale a tutti i partiti: un simil-profugo bello pulitino ma classicamente con valigia, corde, salvagente, coperta, kit di sopravvivenza, tipici pantaloni della tuta e l' aria di chi è sbarcato nell' Eldorado. Impossibile sbagliarsi, tanto che era già successo: anche a metà giugno il marchio United Colors of Benetton aveva comprato due pagine di Repubblica (si vede che il target è quello) e aveva pubblicato l' immagine di un evidente sbarco di migranti nei giorni dei fatti dell' Aquarius, la nave dell' ong Sos Mediterranée che fu al centro di mille polemiche: tutte madri di colore, coperte con drappi ovviamente colorati, bambini dappertutto, la scritta «Rescue» e un' operatrice della Croce Rossa ad assistere. Tutte scelte di Oliviero Toscani a cui si somma un altro scatto con altri aggrappati a un gommone con dei salvagente rosa-arancioni in attesa di essere tratti in salvo mentre nella seconda ci sono delle donne e dei bambini in fila durante i primi soccorsi assistiti da un' operatrice della Croce Rossa: e, con tutta la buona volontà, non si può dire che i migliaia di commenti pubblicati su Facebook siano stati benevoli, anche perché abbondavano i «E ci credo che il marchio vestiti va malissimo» e da un certo punto in poi «Se fanno i ponti come i vestiti...». Ma i due commenti che per primi ci sono saltati all' occhio, in verità, sono quest' altri: 1) «Chi sono? Gli operai che scappano dalle fabbriche alle quali vengono subappaltati le produzioni dei vostri stracci?»; 2) «Scommetto che è una foto dell' imbriagòn Toscani! Rappresenta la Vs manodopera a basso costo che prima sfruttavate nei paesi d' origine mentre adesso potete sfruttarla direttamente in casa, così risparmiate anche le spese di trasporto merci». Comunque sia, e battute a parte, i conti dell' abbigliamento Benetton fanno schifo davvero. Un rosso da 216 milioni nel 2017 per un trend negativo che tuttavia prosegue da anni, qualcosa che i Benetton sono riusciti ad attribuire alla «rivoluzione digitale in atto» e ai capricci del meteo. Il bilancio negativo riguarda anche il marchio Sisley con le relative attività e non riguarda, insomma, le sole attività relativamente fuori mercato come le società autostradale e aeroportuale, dove spesso non è che ci sia molto altro da scegliere. Ecco perché, tornando ai vestiti, Alessandro Benetton nel 2016 si era dimesso in disaccordo con le modalità di ristrutturazione. Ecco perché, l' anno dopo, era andato via anche l' amministratore delegato Eugenio Marco Airoldi. Sino a che, il 16 maggio scorso, è stato creato un nuovo asset societario (Benetton srl) con funzione di direzione e coordinamento sulle controllate del tessile e dell' abbigliamento. Una società ponte, diciamo. Intanto alla pubblicità ci pensa Toscani. di Filippo Facci

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