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Chi sono le tre "giudichesse"che hanno spolpato il Cave arricchito Veronica

Silvio Berlusconi e Veronica Lario

Con la loro sentenza hanno stabilito che Berlusconi stacchi un assegno da record alla Lario. E il tribunale di Milano "processa" Silvio per l'attacco alle toghe

Andrea Tempestini
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  di Andrea Morigi Sono Gloria Servetti, Nadia Dell'Arciprete e Anna Cattaneo le «giudichesse» definite «femministe e comuniste» da Silvio Berlusconi. Un po' di risentimento è più che comprensibile, nei confronti di chi gli ha imposto di versare 100mila euro al giorno all'ex moglie Veronica Lario.  Di loro si sa poco.'unico particolare che trapela è più argomento da cronaca rosa che da resoconto di giudiziaria. A rivelarlo, fra l'altro, è Gabriele Albertini, candidato alla presidenza della Lombardia, ora passato nello schieramento centrista di Mario Monti. Dice che fra i giudici che hanno deciso sul divorzio Berlusconi-Lario «c'è anche una mia ex fidanzata, è Anna Cattaneo. È molto vicina alle nostre posizioni, ha votato per me e per il partito in cui mi trovavo, il Pdl», rivela l'ex sindaco di Milano alla Zanzara, su Radio 24. A suo giudizio si tratta di «una deliziosa persona con cui sono in buonissimi rapporti, ho pure celebrato il suo matrimonio. E pensate che incontrandola più volte non mi ha mai detto che aveva in carico il divorzio di Berlusconi. Non è comunista, non è femminista. È una persona bellissima, una brava mamma e una persona di cui ho una grande stima». Magari sarà anche aumentata, nella sua considerazione, ora che ha colpito duramente, per di più nel patrimonio, il suo principale avversario politico. Berlusconi, quando glielo raccontano, sorride e commenta: «Sarà stata in minoranza visto che erano in tre».  Sul lavoro, le «giudichesse» sono stakanoviste. E Stakanov, si sa, era un comunista modello. Soprattutto Gloria Servetti, la presidente della Nona Sezione del Tribunale di Milano, quella dedicata alla famiglia, alle separazioni e ai divorzi. È arrivata a gestire oltre 260 casi di separazione in una sola mattinata. Impossibile non passare sotto la sua decisione, soprattutto se si tratta di un caso così delicato in termini di privacy. Naturale che sotto la sentenza di primo grado ci sia la sua firma. Del resto ha presieduto la prima seduta della separazione Lario-Berlusconi. Al palazzo di giustizia la descrivono come un magistrato molto esperto nel suo ambito e altrettanto dedito al suo lavoro.   In difesa dell'intero collegio, intanto, si schiera tutto il Palazzo di giustizia milanese. Il presidente della Corte di Appello, Giovanni Canzio e il   presidente del Tribunale di Milano, Livia Pomodoro, diffondo una nota con cui «intendono respingere con fermezza ogni insinuazione sulla non terzietà delle giudici del Tribunale, componenti del Collegio giudicante nella causa Bartolini-Berlusconi, essendo a tutti nota la diligenza e la capacità professionale delle stesse, quotidianamente impegnate nella fatica della giurisdizione nella delicata materia del diritto di famiglia». Gli alti magistrati «rammentano che la raccomandazione del Comitato dei ministri della Giustizia del Consiglio d'Europa, prescrive ai rappresentanti dei poteri esecutivo e legislativo di evitare, nel commento delle decisioni dei giudici, ogni espressione di  dileggio che possa minare la fiducia dei cittadini nella magistratura e compromettere il rispetto sostanziale delle medesime decisioni».   Infine «sottolineano che le norme del codice di rito civile consentono  agli interessati di impugnare i provvedimenti giudiziari e sulla relativa impugnazione la Corte d'Appello eserciterà, come di consueto, il puntuale controllo critico della decisione di primo grado  per i profili della legittimità e del merito». «Non voglio entrare nel merito della separazione ma la giurisprudenza consolidata sia della Cassazione sia delle corti di merito ha da lungo tempo elencato i criteri alla base della valutazione e tenuti presenti dai giudici della nona sezione del tribunale di Milano», afferma ancora la Pomodoro in merito alla sentenza. Sono criteri, ha spiegato Pomodoro, che «tengono conto di tutte le variabili alla fine di una relazione tra due persone e se sono stati mal usati dai giudici della nona sezione lo diranno i giudici del secondo grado».  Silvio può ancora sperare, insomma. Del resto, lo ha ammesso anche lui, ieri sera a Porta a porta, che ci sono alcuni «magistrati onesti», sebbene ci sia una parte «di magistrati con un filo rosso e di pm che utilizzano la giustizia a fini politici».  

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