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L'ultimo film di Albertone, l'eredità diventa un giallo

Eliana Giusto
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Nella sterminata filmografia di Alberto Sordi ci sono solo due gialli: «Crimen» (regia di Camerini, 1960) e «La più bella serata della mia vita» (Scola, 1972), ma sono gialli solo in apparenza: il primo è una commedia degli equivoci e il secondo, tratto da una novella di Dürrenmatt, è una farsa macabra sull'assurdità della giustizia umana. Il vero giallo è il terzo, postumo, sul destino dell'eredità da oltre 20, forse 30 milioni di euro, che l'attore aveva lasciato alla fedele e unica compagna di vita, la sorella Aurelia scomparsa domenica a 97 anni. La trama si intorbida dieci anni dopo la morte di Sordi, nel 2013, quando il direttore della filiale della Banca Popolare di Sondrio, una delle due in cui erano depositati i conti correnti di cui la sorella di Sordi era unica intestataria, e dove affluivano i cospicui interessi (circa 30mila euro al mese) di una carriera incomparabile, segnala un'operazione sospetta: pochi mesi prima l'autista peruviano di Sordi, Arturo Artadi, si era presentato con una procura generale che gli consentiva di operare liberamente su tutti i conti, e, senza perdere tempo, si era regalato 400mila euro e altri spiccioli aveva girato alla badante, alla cuoca, al giardiniere, a due camerieri e a una governante in servizio nella magnifica villa vicino alle Terme di Caracalla, già appartenuta al gerarca fascista Dino Grandi, che Sordi aveva acquistato nel 1958. In totale, erano passati nelle tasche dei domestici circa due milioni e mezzo di euro. La procura era formalmente regolare: firmata da Aurelia, sottoscritta dal notaio di famiglia Gabriele Sciumbata; ma il sospetto, avallato dall'apertura di un'indagine della procura di Roma e dalla richiesta, lo scorso settembre, di dieci rinvii a giudizio per Artadi, domestici, un avvocato e il notaio, era che la Signorina - come veniva chiamata Aurelia - incapace di intendere e volere, fosse stata truffata. Tutti gli imputati si sono sempre dichiarati innocenti e Artadi ora accusa che la Signorina è morta per il dolore dopo che a fine settembre la Cassazione aveva confermato il sequestro della «donazione» di 400mila euro e interdetto l'autista a avvicinare l'unica erede. L'intreccio si complica perché a dare credito alla versione dell'autista è una persona del tutto estranea all'inchiesta, Paola Comin, ultimo ufficio stampa di Sordi, che ha raccontato di come Artadi sia stato allevato da Sordi come un figlio e Aurelia avesse completa fiducia in lui. La Comin arriva addirittura ad invocare la punizione divina contro chi ha separato la Signorina dal fido Artadi. Il processo farà chiarezza su questi aspetti, ma il giallo non finisce qui, anzi, perché ora s'attende di conoscere il contenuto del testamento della Signorina, che dovrebbe assegnare tutto il patrimonio alla Fondazione Alberto Sordi, che in effetti sono tre: una voluta dall'attore romano nei suoi ultimi anni per sostenere i giovani attori, la seconda per l'assistenza medica ai vecchi, la terza per allestire un museo; e tutte, naturalmente, per perpetuare la sua memoria. Come verrà spartita l'eredità fra le tre rivali? Il ministro Franceschini ieri ha espresso il desiderio che la sontuosa villa di via Druso diventi, col beneplacito della fondazione, «uno straordinario museo». Ma il suo zelo rischia di scontrarsi con l'ultimo colpo di scena: sono spuntati, come funghi sotto un castagno, tra i 50 e i 60 - le fonti discordano - aspiranti eredi che hanno chiesto l'annullamento del testamento di Aurelia Sordi basandosi su un argomento non del tutto peregrino: poiché la Signorina, con perizia voluta l'anno scorso dal gip del Tribunale di Roma, era stata dichiarata incapace di intendere e volere, le sue ultime volontà potrebbero essere carta straccia, e allora che si fa? Due dei 50 o 60, intanto, lasciano trapelare che a vegliare sulla cara salma di Aurelia c'era anche Arturo, l'autista; non sia mai che si pensi che non le era tanto affezionato. Certo è curiosa la storia dei 60 eredi, chi sono? Sordi notoriamente non s'è mai sposato («e che me metto un'estranea in casa?» diceva), non ha avuto figli o perlomeno non se ne è mai avuta notizia, e Aurelia aveva rinunciato a farsi una famiglia per stargli accanto. Forse parenti dell'altra sorella, Savina, deceduta nel 1972? O del fratello e suo amministratore Giuseppe, scomparso nel 1990? Oppure sono i famosi «parenti di campagna» di Sordi, raccontati da Rita Di Giovacchino sul Fatto Quotidiano, «orde di cugini, cognati, affini di primo e secondo grado \[che\] scendono per li rami del padre Pietro e della madre Maria Righetti», sparpagliati tra «i vicoli del centro storico e Valmontone», cittadina a quaranta km da Roma? Per ora, si mantiene il «massimo riserbo», il cancello della villa è chiuso, seguiranno le esequie. E poi, si può star sicuri, comincerà la caccia al bottino. di Giordano Tedoldi

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