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Casini, il re della Casta che ha gabbato il Cavaliere

Lucia Esposito
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Se fosse eletto Pier Ferdinando Casini avremmo al Quirinale un bell'uomo. Con questo, l'essenziale è detto. Dovendo però un articolo raggiungere una certa misura, entrerò in qualche particolare. Sull'aspetto fisico, preciso che è alto 1,87 e che, specie ora che ha i capelli bianchi, somiglia a Richard Gere.  Fin da quando entrò a 28 anni a Montecitorio, nel lontano 1983, Pierferdy fu considerato il più bello degli eletti. Sono dunque nove legislature che detiene il record al quale ora si aggiunge quello della maggiore anzianità parlamentare della seconda Repubblica: trentuno anni e sei mesi. In quest'arco di tempo ha incassato all'incirca 7.500.000 euro (20 mila lordi al mese) esclusivamente di pubblici baiocchi, null'altro avendo fatto che il politico nonostante si qualifichi - si legge sulla Navicella - «dirigente d'azienda». Di bell'aspetto è anche la sua seconda moglie, l'eventuale first lady, il cui nome, Azzurra (Caltagirone), piacerà senz'altro ai cittadini di centrodestra poiché evoca il loro colore del cuore. A favore del candidato gioca pure la relativa giovinezza: 59 anni appena compiuti (dicembre 2014). Un'età vigorosa che gli consentirà di girare sale e giardini del Quirinale, godendo dei suoi spazi anziché esserne intimorito come è accaduto al nonagenario predecessore. Da presidente, il bolognese Casini rappresenterebbe la cosa più simile a un capo dello Stato super partes. Per simile, intendo un succedaneo: come la cicoria lo è del caffè. La neutralità di Casini è infatti quella del pesce in barile. Un giorno strizza l'occhio all'uno, un giorno all'altro, un giro di valzer qua, uno di là. È quello che ha fatto in tutta la sua vita di doroteo. Se finisce sul Colle è come se ci andassero Arnaldo Forlani o Mariano Rumor, quarant'anni dopo. La sua oratoria baritonale calza a pennello con una presidenza alla camomilla. La voce è grossa, il concetto esile. Di Casini non si ricordano massime o detti memorabili. In Piemonte, dove sono spesso, ogni volta che lui apre bocca in tv, sento la gente che sospira:«Fa fioché» Ossia, fa tanto venire il latte alle ginocchia che il cielo sbadiglia e nevica.  Eppure, Pierferdy sul Colle rappresenterebbe una novità. Sarebbe infatti il primo capo dello Stato a non avere mai ricoperto una carica di governo, con l'eccezione di Sandro Pertini che ebbe però una vita da romanzo. Non è una nota che depone a favore del carattere di Casini. Un politico con spina dorsale vorrebbe, ieri come oggi, ma oggi più che mai, essere utile al proprio Paese in difficoltà assumendo un ruolo effettivo. Il Nostro, invece, è sempre fuggito a gambe levate dalle responsabilità di governo. Mai è stato ministro o sottosegretario avendone avuto mille occasioni. È da vent'anni capo di un partito, sia pure insignificante come l'Udc, ed è entrato in innumerevoli combinazioni politiche, guardandosi bene però dal confrontarsi con i problemi degli italiani. Casini - è stato detto - è in politica con lo stesso spirito di chi fa il militare con la ferma intenzione di non andare mai in guerra. È un uomo del Palazzo cui ripugna misurarsi con i guai della gente che si arrabatta aldilà delle sue mura. Ebbe il momento d'oro quando poté pavoneggiarsi come presidente della Camera, tra il 2001 e il 2006. Si limitava ad amministrare 630 colleghi, abbienti come lui, e non sessanta milioni di italiani, di cui otto milioni di poveri e tre milioni e passa senza lavoro. Se andrà sul Colle -sogno che carezza da anni- si troverà in una situazione simile. Dovrà mediare tra i soliti noti e tutt'al più stemperare beghe politiche o attizzarle (come quando Napolitano mise Fini contro il Cav). Prenderà decisioni interne al Palazzo, mai quelle che toccano i cittadini nella loro carne. In sintesi: non è uno sparviero, ma un colibrì. Il tratto curioso della sua candidatura è che, pare, sia gradita al Cav. Si dice che dopo il voto di bandiera per il liberale, Antonio Martino, il centrodestra sia pronto a indirizzarlo su Casini. Ora, che ci sia stata una storia amorosa con Berlusconi, è innegabile. Infatti, travolta con Tangentopoli la Dc in cui si era fatto le ossa, Casini fece nel '94 il salto delle quaglia nel grembo del Cav. Astutamente, non aderì a Fi ma si tenne sempre un partitino suo - Ccd, poi Cdu, infine Udc - per avere uno strumento proprio con cui sfogare l'istinto manovriero. Grazie al Cav, evitò la sparizione ed ebbe anzi una seconda vita incomparabilmente migliore della prima. Infilò i suoi nel governo e sottogoverno, moltiplicò le poltrone e per lustri -da seconda fila dc- fu sulla cresta dell'onda. Poi, però, l'amore finì a randellate. Amato, Prodi & C. leggi tutti i quirinabili di Perna Da dieci anni a questa parte, il Cav va dicendo che se non ha mantenuto le promesse e i suoi governi hanno deluso, è perché due gli hanno messo i bastoni tra le ruote: Fini e Casini. Due impiastri alla pari. Tanto che ai suoi elettori si rizzano i capelli appena sentono nominare l'uno o l'altro. Allora com'è possibile che venga ripescato Casini per il Colle? Solo perché non è un ex comunista? Ma che differenza c'è se ne ha fatte più di Carlo in Francia ed è alla base dei fallimenti del centrodestra? Verrebbe da dire che il Cav è alla frutta o ha perso il senno. Rinfresco la memoria. Dopo anni di dispetti, nel 2008 la rottura col centrodestra divenne ufficiale. Il Nostro fece la sua prima ripicca il giorno dell'insediamento del quarto governo Berlusconi. Uscì infatti dall'Aula, seguito dal suo gruppetto, durante l'applauso al discorso del premier. Pare si fosse offeso perché non era stato citato. Comunque, se ne andò mentre quelli del Pd, pur coi musi lunghi, restavano ai banchi, dando l'idea plastica degli odi familiari. L'anno dopo, il 2009, quello delle carinerie tra il Cav e le escort, Casini disse alla Stampa  di essere disposto a unirsi alla sinistra pur togliere l'Italia dalle grinfie del Berlusca. D'accordo che era agosto e c'era il solleone ma il Nostro parlò addirittura di «emergenza democratica» e propose un nuovo Comitato di liberazione nazionale per riscattare l'immagine dell'Italia. Nessuno capì se Casini fosse veramente indignato o volesse lasciare un'impronta prima delle sue lunghe ferie nel timore di essere dimenticato. Fatto sta, che suscitò l'entusiasmo del rifondazionista, Paolino Ferrero, che esclamò: «Per sconfiggere Berlusconi, ci alleiamo anche col diavolo». Quando in autunno Pierferdy rientrò giulivo dalla crociera con i Caltagirone, l'emergenza nazionale gli era passata di mente e non ne parlò mai più. Pochi ricordano infine che, nel novembre 2011, se il Cav cedette di furia il posto a Mario Monti fu meno per gli sbalzi dello spread che per gli intrighi di Casini. A dargli il panico fu infatti il repentino trasloco di un gruppo di onorevoli incantati dalle sirene Udc. A orchestrare il fuggi fuggi dal Pdl, Pierferdy e Paolino Pomicino che promettevano ai transfughi un futuro nel terzo polo montian-casiniano. E ora questo gabbatore dovrebbe salire sul Colle col voto degli ingannati? Giancarlo Perna  

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