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Repubblica cambia idea sulla guerra: quella di Obama è buona e giusta

Retrmarcia della firma Vittorio Zucconi: se a farla è un democratico, magari afroamericano e Nobel per la Pace la guerra non è disdicevole

Lucia Esposito
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Questa proprio non ce l'aspettavamo. All'improvviso Vittorio Zucconi ha cominciato a pensarla come il generale della famosa canzone di Francesco De Gregori: la guerra è bella anche se fa male. Ma come? L'inviato a Washington di Repubblica, cittadino statunitense dal 2002, non è sempre stato, come attestano centinaia di articoli da lui pubblicati negli ultimi vent'anni e passa, uno dei più strenui avversatori della guerra quale possibile mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali? Certamente sì, ma da ieri abbiamo scoperto che per Zucconi esiste guerra e guerra. E, soprattutto, esiste presidente americano e presidente americano. Se un'operazione bellica viene promossa da un presidente di un certo tipo - magari democratico, magari afroamericano e magari pure premio Nobel per la pace - allora smette di essere riprovevole, inutile e inumana, com'erano le precedenti, volute da un presidente cresciuto in Texas, conservatore e sprovvisto di prestigiosi riconoscimenti internazionali, per diventare «inevitabile» nonché un modo di «intervenire con la violenza per impedire violenza».  Sono concetti che Zucconi ha espresso ieri su Repubblica in un editoriale intitolato «La maledizione dell'America». Editoriale in cui il corsivista dall'argenteo pizzetto spiega altresì che apprendere della decisione di Obama di intervenire militarmente in Siria è «uno spettacolo insieme spaventoso e affascinante, come assistere a un'eruzione vulcanica o alla discesa di una valanga», mica come ai tempi della guerra in Iraq e della tentata ricostruzione di quel martoriato Paese, giudicate da Zucconi «una tragedia grottesca di incompetenza, ignoranza e corruzione» (15 dicembre 2008). E se, quando alla guida degli Usa c'era quel fetentone di Bush, «i pretesti offerti per la guerra si rivelano uno dopo l'altro falsi» (18 gennaio 2004), oggi al contrario occorre stigmatizzare le spiegazioni di comodo che «la faciloneria dell'ideologismo antiamericano sta risfoderando anche in questi giorni». Quel disprezzabile ideologismo antiamericano secondo cui «l'interventismo Usa è soltanto il braccio armato degli interessi commerciali, industriali e oggi finanziari degli americani, mentre una piccola ma tenace setta di allucinati arriva ad accusarli addirittura di creare gli incidenti che giustificano l'azione armata».  Un'accusa così allucinante, quest'ultima, da avere visto Zucconi sempre in prima fila nel rivolgerla all'amministrazione Bush riguardo al conflitto iracheno. Ma anche nei confronti della guerra in Afghanistan, Vittorio non è mai stato tenero. Basti ricordare che, poco più di un anno fa, l'ha valutata in questi termini: «Non facciamo finta di non sapere e non vedere che cosa succede quando si combattono guerre per ragioni ideologiche, religiose o politiche, tinte da segrete ma visibilissime motivazioni razziali». Motivazioni razziali, nientemeno. Dunque Obama, figlio di un nero e di una bianca, primo presidente «colored» degli Stati Uniti, sarebbe mosso da motivazioni razziali? Già, perché la guerra in Afghanistan l'ha iniziata Bush ma Obama la sta proseguendo e, da perfetto premio Nobel per la pace, l'ha anche definita «the good war», la guerra buona.  Qualcuno, se può, informi Zucconi. Pervaso dall'amore per Barack, infatti, Vittorione non dev'essersene accorto. Per lui Obama è un «guerriero riluttante» che «sta camminando, come gli eroi di tragedie greche trascinati dal destino, verso quegli errori che riconobbe e rimproverò ai predecessori». Nulla a che spartire con il bifolco George W. Bush, cui Zucconi, l'11 marzo del 2012, dedicò questo benevolo e immaginifico ritrattino: «Quello che è accaduto in Afghanistan è la conseguenza inevitabile di guerre demenziali condotte su premesse demenziali, chiamate addirittura “preventive” (ma de che?), colonnel-kurtz disegnate, nel caso di Iraq e Afghanistan, da quegli imbecilli arroganti e supponenti chiamati neocon, che condizionarono un debole e ignorante Giorgino II, uno sbruffoncello texano senza palle, tutto cappello e niente cavallo come si dice appunto in Texas, dunque pericoloso come tutti i deboli».  Del resto, se le efferatezze dei talebani non meritavano interventi di sorta, quelle cui si assiste in Siria sono invece, per Vittorio, «tragedie inqualificabili». Chissà se Zucconi, oltre a «Generale», conosce un altro brano di De Gregori, quello che parla di coerenza e un cui verso fa «Sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai». A naso, si direbbe di no.  Giuseppe Pollicelli

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