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C'è la prova che il cognato di Fini scorrazzava in Rai

Gian Carlo Tulliani, Francesca e Gianfranco Fini

Due testimonianze pesanti e una sfilza di pass per salire ai piani alti di Viale Mazzini inchiodano Gian Carlo Tulliani

Nicoletta Orlandi Posti
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Due testimonianze pesanti e una sfilza di pass per salire ai piani alti della Rai inchiodano Gian Carlo Tulliani. Non è vero che il cognato di Gianfranco Fini non s'interessava minimamente di televisione: se così fosse il fratello di Elisabetta, compagna dell'ex presidente della Camera, dovrebbe smentire le parole pronunciate ieri davanti al giudice del tribunale civile di Roma da Guido Paglia e Marco Durante, due pezzi da novanta della comunicazione (il primo è stato direttore delle Relazioni Esterne Rai, il secondo è presidente dell'agenzia Lapresse), citati come teste dalla difesa nella causa intentata da Tulliani contro Panorama. Il cognato ha chiesto al settimanale della Mondadori una cifra monstre di 5 milioni di euro a titolo risarcitorio per un articolo, a firma di Giacomo Amadori, dal titolo “Due inchieste sugli uomini del presidente”, pubblicato sul numero uscito in edicola il 17 febbraio del 2011. Nel pezzo si citavano alcune società di comunicazione, con cui Tulliani aveva rapporti di lavoro, e si racconta di come sia Gian Carlo sia la madre, Francesca Frau, abbiano iniziato a occuparsi della produzione di programmi per la tv di Stato. Cifre, contratti, appalti: è il momento della  Giant entertainment (nome scelto non a caso dalle iniziali di Gian Carlo Tulliani), prima che deflagrasse lo scandalo della casa di Montecarlo, il famigerato appartamento di Boulevard Princesse Charlotte lasciato in eredità dalla contessa Anna Maria Colleoni «per la buona battaglia».  Non sono,  però, le questioni monegasche qui a scatenare l'ira del 36enne cognatino, che ha deciso di citare in giudizio Amadori e Giorgio Mulè, direttore di Panorama, colpevoli, secondo lui, di avere scritto il falso. Di avere detto che lui lavorava con la Rai. È, infatti, il ruolo televisivo ad essere al centro del contendere. E di questo, ieri, si è discusso in udienza al tribunale di Roma. Udienza convocata apposta per ascoltare i testi chiamati dalla difesa, Paglia e Durante, i quali hanno confermato serenamente che, certo, Tulliani bazzicava la Rai e non per hobby. Aveva il pallino del piccolo schermo, ma se avesse potuto sarebbe arrivato anche a quello grande, il cinema. Del resto, l'ex direttore della Comunicazione di viale Mazzini, fatto fuori dal leader di Fli proprio per non avere appoggiato a dovere il fratello della compagna nella sua scalata alla tv pubblica, aveva già rilasciato al vicedirettore di Libero, Franco Bechis, un'intervista densa di spunti. Paglia spiegava i motivi del suo allontanamento riportando un colloquio avuto con lo stesso Fini. Intervista mai smentita né dall'ex numero uno di An né da qualcuno dei membri della sua famiglia. Per cui, ieri, Paglia non ha fatto altro che ribadire come sono andate le cose. Perché da lui il cognato ambizioso andava a bussare per cercare di realizzare i suoi progetti. E una volta cacciato lui, Gian Carlo, difeso nella causa dall'avvocato finiano Giuseppe Consolo, si è rivolto ad altri dirigenti Rai per cercare di realizzare i programmi che gli interessavano (come un paio di seconde serate d'intrattenimento, andate in onda nell'agosto 2010). Le prove? C'è un elenco di pass che attestano la frequenza degli ingressi e delle uscite del fratello di Ely dagli uffici che contano. Prima andava da Paglia, poi si parla di almeno cinque passaggi da Adriano Coni, altrettanti da Mauro Masi, quindi Marano, Rositani Leone, Mazza: l'elenco è lungo e sostenere che ci andasse per fare due chiacchiere sul tempo è una tesi difficile da dimostrare. Anche perché sull'argomento delle società di produzione televisiva, ieri, è stato audito anche Marco Durante, anima de Lapresse, il quale ha ricordato di come Gian Carlo si sia presentato proprio come «il cognato di Fini». Un nome una garanzia, allora. La prossima udienza è fissata per maggio 2014, ma l'avvocato Alberto Merlo, che difende Amadori e Mulé per ora è soddisfatto. Tutto ciò che ha scritto l'inviato di Panorama ha trovato riscontro nelle prove e nelle testimonianze fin qui raccolte.  di Brunella Bolloli

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