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Il comunista Scurati festeggia con il pugno chiuso. Antonio Socci: ma che roba è il premio Strega?

Maria Pezzi
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 La Sinistra di (sa)lotto e di governo celebra se stessa, anche al Premio Strega. E infatti - annuncia Repubblica - il vincitore Antonio Scurati «esulta col pugno chiuso». Oggi quelli che alzano orgogliosamente il pugno chiuso non li trovi più nelle fabbriche metalmeccaniche (dove magari votano Lega), nelle fonderie o fra i braccianti del Sud. Ma c' è chi alza il pugno chiuso al Ninfeo di Villa Giulia, nel "salotto" del Premio Strega. Fra bella gente borghese e illuminata che di lì a poco, signora mia, si destreggia fra tartine e brindisi. Poi, naturalmente, siccome non siamo più negli anni Settanta e Scurati è un bravo scrittore di ampie vedute, che scrive cose interessanti, ci ha tenuto a precisare che era un gesto sentimental-generazionale, che non richiama il comunismo, ma casomai il mainstream radical-chic. Perciò a Repubblica ha spiegato: «Non era un messaggio politico. Semmai un gesto ereditato dai padri, un gesto che viene dalla mia formazione giovanile. Ho cinquant' anni e anche se sono figlio del riflusso degli anni Ottanta appartengo all' ultima generazione formata sugli ideali dell' antifascismo». A dire la verità il pugno chiuso come simbolo politico precede la nascita del fascismo e poi c' è l' antifascismo che non sta a sinistra e non si riconosce nel pugno chiuso. In ogni caso si comprende che Scurati si sente non solo autore di un libro, ma paladino della civiltà. Tutta la vicenda della sua partecipazione allo "Strega" veleggia sulle ali dell' idealismo, nel segno progressista dello spirito di sacrificio per il bene dell' umanità. Come si addice a chi è di sinistra e dona se stesso per la libertà. Il sacrificio -  Repubblica fin dall' inizio ne ha fatto un' epopea. Ci si poteva immaginare l' Italia civile che trattiene il fiato fino al 1° marzo. La casalinga di Voghera, il minatore del Sulcis, il metallurgico di Taranto, il panettiere di Ancora, l' operaio torinese, il terremotato di Norcia e il pastore della Barbagia, i disoccupati e gli esodati, le partite Iva e i giovani precari, tutti nelle ambasce si chiedevano quanto ancora Antonio Scurati li avrebbe lasciati in ansiosa attesa sulla sua partecipazione al Premio Strega. Dovunque volti scuri, tutti sulle spine a chiedersi: «andrà o non andrà?», «il Premio Strega resterà orbo di tanto spiro?». Il 1° marzo 2019, finalmente, ha rotto gli indugi e Repubblica ha potuto trionfalmente suonare le trombe: «nuntio vobis gaudium magnum». Il titolo in prima pagina già diceva tutto: «Antonio Scurati. Vado allo Strega perché lo considero un dovere civile». Significava che aveva deciso di sacrificarsi per il nostro bene. Lo ha fatto per noi. Per salvare l' Italia. Diceva infatti: «Vivo la mia partecipazione come una spinta di impegno civile. Sono convinto che questo romanzo possa contribuire al risveglio di una coscienza democratica sono felice che il romanzo sia vissuto dai lettori come una palestra di antifascismo». Per approfondire leggi anche: Oriana Fallaci dimenticata  Fino al giorno prima - c' informava Repubblica - «Scurati titubava». Ha titubato per giorni. Tituba oggi, tituba domani, forse assillato dal dubbio morettiano («mi si nota di più se non vado o se vado e sto in un angolo?»), alla fine, pensando ai superiori interessi della patria, il titubante «scrittore democratico, libertario e progressista» (come si è definito in un' altra intervista) ha sciolto la riserva. Lo ha fatto - spiegava il giornale scalfariano - «per amore ai lettori». Ha deciso di partecipare «non per il titolo, ma perché questi tempi ricordano le origini del fascismo». Infatti «tutti siamo smarriti dall' avanzata dei nuovi populismi" (eccone un altro) e quando l' intervistatrice gli ha chiesto, appunto, del "ritorno del fascismo», ha prima spiegato che è «contrario ad etichettare di fascismo i nuovi populismi" perché "fuorviante e storicamente infondato», tuttavia ha pensosamente aggiunto che «sono molti gli elementi comuni tra oggi e ieri», per questo «vivo la mia partecipazione come una spinta di impegno civile». Da quel momento dunque tutti ci siamo sentiti più tranquilli. Sul rischio di un nuovo fascismo veglia Scurati, partecipando al Premio Strega (e, ovviamente, vincendolo). Tanta generosa abnegazione merita tutta la nostra riconoscenza. Infatti è stata premiata. E celebrata. Salotti letterari - Tutta quella bella gente dei salotti letterari, pensosa dei nostri destini, intende - come lui - salvare il Paese col suo spirito democratico, libertario e antifascista. Lo fanno dall' alto del loro sapere, in quanto - dice Scurati - «uno dei tratti dei nuovi populisti è l' ostentato disprezzo verso conoscenze e cultura». Ecco perché - sia pure titubando - certi giganti del pensiero si sacrificano concedendosi al pubblico dei salotti letterari e televisivi - pensate a quel filosofo schivo, mite e affabile che è Massimo Cacciari - ed elargendo alla nostra povera mensa il pane del loro abissale sapere. Purtroppo la plebe non stima come dovrebbe cotanto senno, non pende dalle labbra del salotto accademico nazionale. Anzi, è di solito diffidente nei confronti degli intellettuali. È una plebe ingrata, che non si rende conto di quanto si sacrifichino per lei questi pensatori che oggi sono il presidio della democrazia. Un tempo, tanti anni fa, sui frequentatori di premi e salotti letterari si potevano abbattere le parole acide di un solitario come Giuseppe Berto che scriveva: «sono troppo impegnati nel farsi pubblicità, nel darsi premi, nel dedicarsi saggi e critiche in sommo grado encomiastici, nel raccomandarsi l' un l' altro presso editori e direttori di giornali». Ma oggi di sicuro non è così. Fra una tartina e un cocktail, tra un'"ospitata" dalla Gruber e un pettegolezzo mondano, questi ingegni illuminati pensano a noi, ci salvano dal fascismo incombente sotto forma di populismo, ci spronano all' impegno civile, fanno scudo alla minacciata democrazia e fustigano come si deve la dilagante ondata del razzismo. Ecco perché di solito dai premi letterari escono celebrati i migliori ingegni nazionali, la crema della nostra cultura. Del resto questa storia dei "premi" ha precedenti antichi. Pensiamo, per esempio, che nei primi anni del Trecento fu data l' incoronazione solenne di poeta (il premio letterario di quel tempo) al formidabile Albertino Mussato (lo conoscete?), autore di una tragedia, l' Ecerinis, che fu ritenuta un capolavoro immortale (chi l' ha letta?). Fu invece ignorato un altro "poetastro" vivente, tal Alighieri Dante di cui, in quegli anni, circolavano in volgare fiorentino "l' Inferno" e "Il Purgatorio" della sua insignificante "Divina Commedia". Questo poetucolo fiorentino fu comprensibilmente snobbato dalle accademie letterarie del tempo che gli preferirono il Mussato. L' Alighieri era considerato - finché visse - un fallito, sia come uomo (perché condannato ed esiliato dalla sua città: aveva osato perfino mettere all' inferno il papa), sia come politico, perché reazionario, sia come letterato perché - appunto - non all' altezza dei talenti della sua epoca. Così vanno le cose in Italia, o almeno così andavano un tempo. di Antonio Socci

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