Carlo Federico Grosso, addio all'ultimo templare del diritto penale
Quando si dice le azioni che collimano esattamente con i pensieri. «In Italia c' è stato e continua a esserci un uso distorto della custodia cautelare. Io penso che, nella mente di alcuni procuratori della Repubblica, una tentazione a utilizzare il carcere preventivo per spingere gli indagati a confessare vi sia stata e vi sia». La prima volta che sentimmo questa frase coraggiosa rimbombare - a mantra per i più accaniti garantisti - nell' aula di una facoltà di giurisprudenza, era il 1998. La politica galleggiava sugli strascichi nefasti di Tangentopoli, la gente esasperata spesso chiedeva il sangue, il vuoto istituzionale si stava riempendo del furore delle toghe. E chi aveva pronunciato quella frase, il professor Carlo Federico Grosso, torinese, morto ieri a 81 anni per fibrosi polmonare, si stava giusto addentrando (assieme a una commissione ministeriale nominata dal ministro delle Giustizia Giovanni Maria Flick) nel cuore aritmico della riforma di quel codice penale di cui era da sempre raffinato esegeta. Grosso, allora, aveva già vissuto una mezza dozzina di vite. Docente emerito - con soddisfazione del padre Giuseppe, pregiato Dc e insigne romanista- ordinario a 27 anni; politico nelle file del Pci - e qui il padre fu meno contento - prima consigliere comunale e vicesindaco a Torino; vice presidente del Csm; editorialista giuridico de La Stampa; accademico delle Scienze col pallino degli studi cassazionisti; nonché principe del foro. Ma era in quest' ultima reincarnazione, quella dell' avvocato, che Grosso riusciva a distillare talento puro. L' uomo era un templare del diritto penale. Rappresentava uno dei quei rari casi in cui la difesa dell' imputato veniva interpretata davvero come una missione. Grosso tutelò la posizione di oltre 32 mila portatori di bond come parte civile nei processi per il crack Parmalat davanti ai Tribunali di Parma e Milano; inoltre, sempre come parte civile, patrocinò il Comune di Milano nel processo per i derivati davanti al Tribunale di Milano. Fu difensore dell' Eni e di suoi dirigenti in numerosi processi penali. Ha inoltre difeso Renato Soru davanti al Tribunale di Cagliari, Silvio Scaglia davanti al Tribunale di Roma. A lui si deve, poi, l' assoluzione reiterata in appello di Calogero Mannino accusato delle peggiori nefandezze durante la leggendaria "trattativa Stato-Mafia" davanti alle sezioni unite della Cassazione e al Tribunale di Palermo. Oserei dire che Mannino in lacrime di gioia è stato il suo ultimo capolavoro. Prima ancora, però, il grande pubblico ricorda Grosso come primo difensore di Annamaria Franzoni, la madre del delitto di Cogne. Paola Savio, legale della donna, all' Adn Kronos ricordò di quando il professore fosse convinto dell' innocenza della Franzoni; di come riuscì ad ottenerne la prima scarcerazione per mancanza d' indizi; e di quando lo stesso Grosso, per puro amor di verità («Sarà un orgoglio discutere al posto suo il ricorso e potere ancora difendere quella donna»), decise di discutere il ricorso in Cassazione al posto suo. Per chiunque abbia fatto l' avvocato o abbia solo bazzicato un' aula di tribunale, lo spuntare all' orizzonte della chioma canuta di Grosso, significava, senza retorica, il serio impegno al rispetto della certezza del diritto. Grosso era un eclettico, come una particolare predisposizione ai riflessi penali della bioetica; maternità assistita, accanimento terapeutico, eutanasia erano i cavalli di battaglia che gli consentivano di galoppare nelle praterie dei media. In più, nel 1998, su nomina dell' allora ministro per i beni culturali con delega allo sport Walter Veltroni, Grosso presiedette anche una commissione amministrativa di indagine in materia di doping. Come penalista non aveva in gran simpatia la riforma della giustizia del Pd Orlando (della quale salvava i nobili intenti). Né impazziva per la nuova normativa sulla legittima difesa: «C' è il rischio di troppe pallottole che partono. Con la riforma del 2006 si era già andati molto avanti rispetto alla figura tradizionale della difesa legittima come configurata dal Codice Rocco. E secondo me non c' era proprio niente da cambiare». E naturalmente non faceva nulla per nasconderlo. Oggi lascia un ricordo indelebile di illuminato giurista, di profondo intellettuale, e, soprattutto, di uomo dalla schiena dritta riproduzione riservata Carlo Federico Grosso (qui a sinistra) è stato avvocato, giurista e docente universitario, oltre che vicepresidente del Csm. Ma dal punto di vista mediatico è diventato famoso quando ha assunto, per un periodo, la difesa di Annamaria Franzoni (sopra), accusata di aver ucciso il figlioletto nel celebre delitto di Cogne. di Francesco Specchia