Dialogo

Vittorio Feltri su Marco Pannella: "Ecco chi era davvero", l'intervista che spiega tutto

Davide Locano

Pubblichiamo l' intervista di Vittorio Feltri a Marco Pannella fatta negli anni Ottanta. Sono passati trent' anni e il tema della povertà in Africa è ancora nelle agende dei nostri politici. Ecco come il fondatore del partito Radicale intendeva affrontarlo. Nella stanza di Pannella si affaccia Rutelli: «Scusa, Marco, posso? Hanno rinviato». «Rinviato cosa?» «La nomina del sottosegretario». «Ancora? Ma che aspettano?». E il capo radicale allarga le braccia, più scocciato che sconsolato. Poi si rivolge a me, come per giustificarsi del breve abbandono alla stizza e, caso mai, per precisare che non pensa a se stesso, alla carica, ma a quelli che dovrebbero essere i beneficiari della legge: «Ogni giorno che passa, laggiù qualcuno muore. E noi perdiamo tempo. Quando lo capiranno che la vita di un uomo non è una pratica di burocrazia?». Pannella allenta il nodo della cravatta, slaccia il colletto e tracanna, direttamente dalla bottiglia, un lungo sorso d' acqua: gesti esageratamente lenti, sembra che gli servano per ritrovare la calma. E invece sbotta un' altra volta: «L' ho detto e lo ripeto. Se non si spicciano, ritiro la candidatura. Giuro». Perdoni, Pannella, ma chi glielo ha fatto fare di offrirla? «Era doveroso, per una volta. Anche se mi è costato fatica, molta fatica. È un compito tremendo, lo dichiaro senza enfasi. La legge è sulla linea, sia pure degradata, che noi stiamo riuscendo a imporre non solamente in Italia, ma anche in Europa e nel Terzo Mondo. Allora mi son detto che non potevamo non essere disponibili ad assicurare anche l' esecuzione del provvedimento, per coglierne l' obiettivo: abbassare i tassi di mortalità nei Paesi dove la fame è assassina. Certo, candidarmi ad essere il millesimo sottosegretario di questa Repubblica a 55 anni, 40 dei quali di onorata carriera civile, ha richiesto del coraggio e un po' di umiltà». È tattica, o è vero che se non fanno alla svelta, questione di ore, lei si ritira? Se la sua fosse una disponibilità a cronometro, non crede che sarebbe poco apprezzata da chi, come dice lei, muore di fame? «Delle due, l' una: o è esatto quello di cui siamo riusciti a convincere il nostro governo, che a Bruxelles al vertice europeo ha imposto alla Comunità dei dieci di muoversi a tempo, perché fra cento giorni avrà inizio una catastrofe senza precedenti in Africa, e allora non è possibile continuare a perdere giorni e settimane (è dal 29 marzo che devono designare il sottosegretario); oppure non lo è. Ma se lo è, bisogna essere molto chiari. Siamo in un caso in cui i riflessi partitocratici non possono avere campo libero, altrimenti si comincia male, ed è inutile creare illusioni su quello che effettivamente si può fare». Se sarà chiamato ad amministrare i fondi, dovrà collaborare, se non dipendere, dal ministro, che è Andreotti. Una prospettiva singolare per un radicale. «Nei confronti di Andreotti ho sempre avuto grande stima oltre che grandissimi motivi di scontro politico. E ho ragione di credere che il suo stato d' animo verso di me non sia difforme. Una eventuale collaborazione, circoscritta, puntuale, potrebbe rivelarsi preziosa, sia come esperienza personale, sia per il Paese». Se lei entrerà nel governo, come farà il PR a stare all' opposizione? Si opporrà anche a Pannella o adotterà l' antica formula dei "due pesi e due misure"? «Il governo continuerà la sua politica senza essere condizionato dalla mia presenza come cinquantacinquesimo sottosegretario; la politica di Pannella, e ancor più quella del mio partito, non potranno essere messe in causa. Nessun doppio binario, quindi, ma una crescita di responsabilità dalla quale non potrà non essere tratta una opportunità in più di dialogo davvero laico e democratico». Il PSDI è favorevole a lei come commissario. E anche il PSI, dopo le dichiarazioni di Loris Fortuna. E gli altri? Insomma, quante probabilità ha di farcela? «Che probabilità hanno di farcela loro, non io. Non sono un disoccupato». Mettiamo che la nomina arrivi, quale sarà il suo primo passo? «L' unico serio, cercare subito di mettere in piedi una baracca che regga al diluvio delle cose da fare. È questa la cruna d' ago attraverso la quale la Grande Speranza deve passare. Avrò come sempre il profondo senso dell' urgenza, il rifiuto di cedere alla fretta». E poi come pensa di spendere quei soldi? «Anzitutto, che sia io o un altro, si dovrà badare a come non spenderli. Anzi, a non dilapidarli. In ogni caso, non a sostegno dei nostri commerci, magari vergognosi e inconfessabili; non a sostegno di classi e di gente corrotte; non in aiuti soprattutto alimentari». Ma allora dove finiranno i miliardi? «Non finga di non sapere. I radicali da almeno cinque anni illustrano ogni giorno come si dovranno amministrare. Ci rifaremo a quelle indicazioni, costituiscono un programma solido d' intervento: non possiamo adesso fare elenchi contabili, ci vorrebbero mezza giornata e mezzo giornale». La Malfa ha obiettato che 1.900 miliardi sono troppi per un Paese come l' Italia che ha un bilancio disastrato almeno quanto l' Africa. E parecchi gli danno ragione. «Mi auguro che non abbia effettivamente pronunciato una tale demagogica non verità. Siamo stati i soli, purtroppo, a denunciare che migliaia di miliardi negli anni scorsi erano stati buttati via, ossia senza risultati né per l' Italia, né per i milioni di agonizzanti. A coloro che così pensano, rispondiamo comunque che questa legge nasce per intervenire diversamente. Il vero problema serio, serissimo, urgente, è quello di convertire in spese di vita e di pace le migliaia di miliardi che si destinano ai folli "investimenti" militari». C'è chi, come Montanelli, ha scritto che gli aiuti ai Paesi in miseria non servono a niente perché non arrivano mai a destinazione: derrate alimentari che marciscono per strada, ruberie, eccetera. Cosa suggerisce per evitare che anziché i poveri vengano agevolati i furbi? «Il problema da questo punto di vista non è diverso che a Napoli o a Palermo o a Reggio Calabria e, in alcuni casi, a Milano o a Torino. La sola ricetta è quella del buon governo. Per il quale occorre avere "mani nette e cuore di cristallo", come canta Francesco De Gregori». Altri sono persuasi che se uno muore di fame, piuttosto che regalargli un pesce è meglio insegnargli a pescarlo. Non mi sembra un' idea cretina. «All' inizio, circa 20 anni fa, questa massima di Mao era interessante. Adesso, ogni volta che la sento, penso che ci deve essere dietro qualche industria che produce ami, lenze e canne da pesca. Perché se non c' è il pesce, né l' acqua e neppure l' apprendista pescatore, che è agonizzante, tutto l' armamentario, compreso il manuale per acchiappare le sogliole, può servire al massimo come ornamento di qualche tomba». Sulla rivista missionaria Nigrizia, un articolo di padre Alessandro Zanotelli denunciava che i soldi degli affamati finiscono spesso nelle tasche di amici, esperti, ricercatori e professori vari. È così? «Quell'articolo è apparso sulle prime pagine de l' Unità e de La Repubblica solo perché era in corso il tentativo di evitare che andasse in porto una legge pericolosa per l' Unione Sovietica e per i ladri. Condividiamo molto di quanto ha scritto Nigrizia: e il PR è stato l' unico partito a pubblicare un libro bianco su determinate storture. Non a caso andiamo ripetendo che, in partenza, si deve contare soprattutto sul piccolo esercito di missionari cattolici cristiani e laici, che opera dando letteralmente la vita alla lotta per la salvezza dell' umanità da questo immondo olocausto». Sarebbero 30 milioni quelli che rischiano la fine. Non sono troppi anche per Pannella? «Se la cifra si è ridotta a 30 milioni invece che a 50, come dichiaravano le agenzie dell' ONU, ciò è dovuto allo studio dei radicali. Ma questa è una riduzione sulla carta. Con i mezzi della legge, che sono la metà di quelli richiesti con la proposta Piccoli, sono sicuro che si può entro due anni garantire la sopravvivenza di oltre un milione di persone». Lei sostiene che se avessero lasciato fare a Pertini il problema della denutrizione sarebbe ormai un brutto ricordo. Vuol spiegare? «Per la verità è una frase che ho detto sia a Pertini, sia a Giovanni Paolo II, perché si tratta semplicemente di avere volontà politica e umana di concepire certe scelte e di perseguirne gli obiettivi. L' espressione è forse frusta, ma in un mondo nel quale si sperperano migliaia di miliardi di lire di attrezzature militari, e per l' esplorazione, sempre a scopo militare, degli spazi e delle stelle, non trovare soldi per bloccare l' avanzata del deserto, che minaccia di sommergerci con la sua crescita, è una follia». Lei va d' accordo col Papa. Vi unisce l' impegno contro la fame, o Pannella risente del proprio passato, quando da giovanissimo era fiancheggiatore dei gruppi cattolici, come ricordano i suoi biografi? «Mi sono iscritto nel dicembre 1945, a 15 anni, al Partito Liberale di Marco Pannunzio e Benedetto Croce. Fino al 1953, quando me ne sono andato definitivamente, sono entrato e uscito dal PLI seguendo il moto ondulatorio dei miei "maggiori" impegnati nella sinistra liberale. L' ultimo contatto che ho avuto col mondo istituzionale della Chiesa è stato la prima comunione, nel giugno 1940. Ciò detto, e rivendicando anche per me l' intransigenza anticlericale, che suppongo sia propria di ogni spirito religioso, penso che non possiamo non dirci cristiani e anche cattolici, se siamo cresciuti in questo Paese dove le tante culture cattoliche costituiscono per più di un millennio l' intero universo del sapere e della religiosità. Ripeto, inoltre, che dinanzi allo sterminio per mancanza di cibo, se dovessi iscrivermi oggi a "questo" Stato o a "questa" Chiesa sceglierei di iscrivermi a "questa" Chiesa. Naturalmente è una boutade. Ma come in ogni boutade autentica, c' è sicuramente molto del "mio" vero». I critici dei radicali insinuano che quello dei disperati dell' Africa è il vostro cavallo di battaglia elettorale, anche se alle amministrative non avete liste in proprio. «Stia pur certo che se questa lotta di umanesimo integrale cristiano e laico fosse stata pagante in termini di riuscita mondana e di potere, non ce ne avrebbero lasciato così a lungo il monopolio. I morti di fame del Terzo Mondo non sono elettori». Tra i suoi bersagli consueti, negli ultimi tempi spicca il PCI. Perché? «Perché oggi è il vero Stato nello Stato, il solo che permanga. La Chiesa, il mondo clericale, per loro fortuna, non lo sono più. Perché il PCI è un' immensa struttura anche di parastato che ha una sua feroce logica di autoconservazione. Perché è l' unico che può ancora ingannare grandi masse. Perché è partito anzitutto di potere, pilastro della partitocrazia. Non a caso sul fronte della lotta allo sterminio dei diseredati il suo apporto è stato unicamente negativo, e ha smontato lo splendido slancio del "popolo comunista" che, anche attraverso numerosi sindaci, stava dando molto, organizzando manifestazioni internazionali prestigiose». Veniamo alle elezioni. Perché state coi «Verdi»? Temete che mangino la rosa? «Siamo "verdi" anche noi, da sempre. E riteniamo necessario alla democrazia che i "verdi" di diverso itinerario dal nostro si costituiscano anch' essi in forza politica autonoma. Perché l'inquinamento della politica e della morale in Italia è almeno pari, se non più grave, di quello dell' ambiente. E fin d' ora sollecitiamo la presenza di liste di questo tipo anche alle elezioni politiche. Se non riuscissimo a proporre per il superamento della partitocrazia, anche un sistema di partiti nuovi e diversi, la nostra lotta per un regime democratico all' occidentale, "perfetto", non potrebbe mai realizzarsi». Si intensificano tra PR e PSI dei contatti per trovare, pare, punti di accordo. Loris Fortuna, uso parole sue, vuole "definire un' area operativa socialista e radicale fino all' ipotesi di una struttura federativa e associativa". Oltre a chiederle se è d' accordo, devo confessarle che non ho capito niente. Le spiace fare chiarezza? «Ci sono due miracoli nella politica italiana e europea. Uno è del PSI, che non poco più del dieci per cento, esprime il presidente della Repubblica, e il presidente del Consiglio, sindaci, presidenti di regioni, di banche, di USL e via occupando. L' altro e del PR, che con meno di tremila iscritti, riesce puntualmente da 20 anni a essere maggioritario nelle grandi battaglie per i diritti civili; e molti capi di Stato del Terzo Mondo lo considerano il più autentico rappresentante dell' Europa. Abbiamo percorso cammini opposti; loro quello del tentativo di convertire il potere con il potere; noi quello di convertire la politica in politica democratica dei valori, delle idealità e delle speranze. Ma le radici sono comuni. Come, d' altra parte, sono comuni con il PRI, il PLI, il PSDI, i cattolici liberali e i comunisti della tradizione di Terracini e Gullo. Insieme, di frutti ne abbiamo già raccolti. Ma chi è convinto, come noi, che la democrazia può vivere solo guardando la semplicità delle democrazie anglosassoni, con grandi partiti programmatici, di identica civiltà, non può fare a meno di constatare la bontà delle indicazioni di Fortuna. Che poi sono le stesse iscritte nella bussola radicale. Si tratta cioè, di aggregare, sui fatti, forze analoghe». Ma Pannella sottosegretario, eventualmente, si potrebbe interpretare come un primo passo verso la realizzazione dell' ipotesi di Fortuna? «Semmai renderei omaggio ad un passo responsabile democratico dei partiti di governo, che in genere, invece, sono partitocratici». Lei già una volta ha chiesto la tessera del PSI, ma non mi sembra che abbia avuto accoglienze entusiastiche. «Non una, ma due volte. Immagino di essere l' unico italiano dal '45 cui sia stato - comprensibilmente - riservato questo trattamento. Devo ammettere, però, che per noi la doppia militanza, contro i partiti-Chiesa, è un obiettivo quasi necessario». Sul Giornale ho letto la sua proposta di non votare per far cadere il referendum, secondo le norme costituzionali. Ma ai fini pratici, che differenza c' è fra non votare e votare no? L' importante non è che non vincano i sì? «Esatto. Perché non vincano i sì bisogna che tutti coloro e non solo una parte, che sono ostili alla richiesta referendaria, o la considerano non meritevole del proprio interesse, siano computabili. Cioè, facciano numero insieme. Ora, se si accetta il valore di questo referendum, e si va al seggio, ci si separa e si annulla quel 25/30 per cento di cittadini che sicuramente non andrà, in questa occasione, alle urne. La Costituzione per questo tipo di consultazione ha esplicitamente previsto l' eventualità di un rifiuto della maggioranza dei cittadini, stabilendo che se non si raggiunge il 50 per cento dei suffragi validi degli aventi diritto, il voto è nullo. Di conseguenza la nostra posizione resta quella di sempre: il referendum si deve tenere. E in molti riteniamo (il partito non si è ancora espresso) che stavolta il ricorso alle urne non valga l' avallo di una scheda, ma esiga la condanna di un rifiuto preventivo. Ignorando la chiamata è impossibile non vincere, perché è impossibile che la somma delle astensioni autonome e di quelle degli elettori, della DC, del PSI, del PRI, del PSDI, del PLI e del PR, più quelle della UIL, della CISL e della componente socialista della CGIL non sia di gran lunga superiore al 50 per cento. Lo ripeto: il referendum si deve tenere. E sarà per la politica del vertice Pci, quel che è stato lo scontro sul divorzio, nel 1974, per la DC e il mondo clericale: una lezione storica a tutto vantaggio anche degli sconfitti». Ma perché a lei preme che il PCI perda la conta anche sulla scala mobile? «Perché lo stesso PCI ha parlato del referendum come una iattura. Perché per un anno lo spauracchio è servito a distrarre la politica italiana dalla vera questione: la riforma del costo del lavoro. E perché un esito positivo per i comunisti non potrebbe essere sostenuto dalla nostra economia. E il PCI lo sa benissimo». di Vittorio Feltri