Nemici

Perfino De Benedetti preferisce Silvio a Conte

Francesco Specchia

Come gli ufficiali ussari Feraud e D’Hubert del Duello di Conrad, Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi hanno attraversato i decenni nel loro scontro oltre le soglie dell’umano. Il clangore delle loro lame era stato il refrain d’indimenticate ed eterne battaglie politico-editoriali.

Sicché oggi ha un che d’innaturale l’endorsement che l’ingegnere dichiara nei confronti di un indefinito “governo Pd col Cavaliere”. L’Ing, intervistato da Salvatore Merlo del Foglio infatti afferma: “Se si tratta di isolare Salvini e Meloni trangugio anche Berlusconi al governo con la sinistra. Ma accompagnato dal benservito a Conte che rappresenta il vuoto pneumatico. Mai avrei immaginato di dire che al mondo esiste qualcosa di peggiore di Berlusconi”. E già questo, solo pochi anni fa avrebbe avuto il sapore della provocazione. Ma l’Ing, non pago, adesso affibbia alla Meloni le stimmate da “figlia del fascismo” ; e sbrigativamente liquida Salvini come “un selvaggio privo di qualsiasi cultura”. E aggiunge: “Continuo a pensare che il livello di corruzione morale che lui ha introdotto nel paese abbia costituito un periodo nero della nostra storia. Se non era per Scalfaro avremmo avuto Previti ministro della Giustizia”. Eppure. Eppure l’ex dominus della sinistra riformista italiana, ora è “pronto a trangugiare il rospo”. Il rospo è il Berlusca. Ossia colui il quale “rappresenta nel mondo dell’economia e della politica quello che Alberto Sordi è stato nel cinema. L’arcitaliano. Un grande artista, Sordi. E un grande imbroglione, Berlusconi. Ma comunque un grande”. Berlusconi diventa così il simbolo d’una senile resipiscenza, il nemico adorato che, tocca ammetterlo, “è sempre sul pezzo, non perde mai un’occasione, non si ferma mai. E in questo è straordinario”, detto con una puntina di simpatia, fa notare Merlo. E per chi conosce l’ingegnere sa che questa sfumatura, questa vaga increspatura dell’anima, in lui mai si disegna a caso.

Perché, dunque, Berlusconi? Perché De Benedetti ingolla la sua personale cicuta come fosse un Alka Seltzer? Insomma, i due si odiano d’un acceso odio letterario. Hanno entrambi superato l’ottantina. E, da quasi 35 anni, hanno cercato affannosamente l’uno la soppressione dell’altro; sin dall’87 in cui il galante e paraculissimo Silvio s’infilò tra le maglie della famiglia Formenton a colpi di sorrisi e mazzi di rose, volgendo a proprio favore quel “lodo Mondadori” per il quale Carlo ancora fino al 2015 richiedeva (non corrisposto dal tribunale) un danno non patrimoniale di 100 milioni di euro. E De Benedetti, proprio sul Foglio, ribadisce che con Silvio “non ha idee, ma calcoli personali sì, tanti. E ora la convenienza potrebbe spingerlo a questo passo. Non c’è imprenditore in Italia che non sappia che dobbiamo investire, non sprecare il denaro pubblico che arriva dall’Europa e restare agganciati all’euro…”. E allora, diamine, perché questa conversione? I motivi sono essenzialmente due. Il primo è il Presidente del Consiglio Conte. Che De Benedetti ritiene materia plotiniana: “Basta il caso Autostrade per qualificare la sua nullità. E’ l’unico che ha beneficiato del Covid!”, “trae al sua forza dal rinvio e dallo stallo imposto dall’emergenza sanitaria del Coronavirus”, ecc ecc… Conte, secondo l’Ing, è una iattura per il Paese, quasi come Renzi (che, per inciso, aveva sostenuto), e urge matarlo. Il secondo motivo del nuovo corso di De Benedetti è il suo ritorno fiero e vendicativo sulla scena politica. Già estromesso dai figli nella gestione del giornale-partito al quale ha dedicato un’esistenza, l’Ing si ripresenta con una sua nuova creatura, Domani. Non solo un giornale ma un ecosistema editoriale diretto da Stefano Feltri, giovane ex del Fatto richiamato dall’elite degli economisti della Scuola di Chicago per attingere al lettorato (e all’elettorato) duro e puro di Repubblica. De Benedetti torna e ci mette la faccia. Ecco quindi il suo show all’Otto e mezzo della Gruber (“Gli Stati Generali sono una perdita di tempo a maggior gloria di Conte Casalino”, “L’abbassamento dell’Iva sarebbe un’assoluta stupidaggine, è una mancia che non ha nessun effetto strutturale”). Ecco, dunque le sue ricette economiche -peraltro assai ben articolate- sulla “patrimoniale allo 0,8%” per risolvere le diseguaglianze; sulla riforma fiscale che tassi le cose non le persone; sulla necessità di esperti che siano in grado di spendere sulla quantità di denaro in arrivo “che non si vedeva dal primo dopoguerra”. Berlusconi può essere il grimaldello per scardinare la stasi del governo. Dopodiché, magari, nemici come prima…