ex magistrato

Carlo Nordio, dubbio sulla sentenza che condannò Silvio Berlusconi: "Quella volta che il maresciallo origliò tutto"

Cristiana Lodi

Dottor Nordio, da magistrato le è mai capitato di vedere un fatto simile?
«La sentenza Mediaset e l'estromissione di Berlusconi dalla politica attiva?»

È stato detto e ripetuto che bisognava processarlo il 31 luglio 2013 perché i reati a suo carico si sarebbero prescritti il primo agosto di quell'anno, e invece questo non era vero. Una balla. Com' è stato possibile?
«Le dico subito che lo scandalo di quella vicenda non sta tanto nella fissazione anticipata del processo e nella costituzione di un Collegio giudicante quantomeno discutibile. Sta in quello che è emerso dalle dichiarazioni del giudice relatore e soprattutto dall'applicazione della Legge Severino». Scusi, emerge che Berlusconi sia stato a dire poco imbrogliato sui termini di prescrizione. Sarebbe stato commesso un falso. «Il conteggio della prescrizione è complesso, perché i termini possono essere continuamente sospesi per mille ragioni, ad esempio gli impegni dell'imputato o del suo difensore. Le date vengono grossolanamente scritte sul frontespizio del fascicolo all'inizio delle indagini, e devono esser continuamente aggiornate, speso con scarabocchi illeggibili. L'errore è quindi sempre possibile. Va da sé che tanto maggiore è l'importanza del reato e del suo presunto autore, tanto maggiore dovrebbe essere l'attenzione in questo conteggio. La legge è uguale per tutti, ma un furto in un supermercato non è come un reato tributario che può far cadere un governo. Se questi calcoli sono stati sbagliati non è difficile ricostruirli. Alcuni giornali lo hanno fatto, e pare che effettivamente siano errati: però non parlerei di falsi. Il falso indica la malafede, e non arrivo a sospettare tanto da parte di colleghi».


Eh no, qui il punto è un altro. La Cassazione riceve dalla Corte d'Appello di Milano la comunicazione, scritta e firmata dallo stesso giudice che ha condannato Berlusconi, che la prescrizione scatta il 14 settembre o il 21 o il 30. E la Cassazione, con la carta in mano cosa fa? Aspetta quattro giorni e il 9 luglio dice a Berlusconi:
«Ti processiamo il 31 perché tutto si prescrive il primo agosto».

È buonafede questa?
«Continuo a pensare a un errore. Lo spero per carità di patria».

Il diritto della difesa ad avere i famosi 30 giorni di tempo per prepararsi, dato che non c'è la circostanza della prescrizione immediata, intanto però va a farsi benedire? «Secondo me no. Il giudizio di Cassazione si forma su ricorsi scritti e molto articolati. Le difese sanno già tutto e hanno già detto tutto».

È dunque a suo parere legale avere portato in aula il Cavaliere il 31 luglio?
«L'impressione che ho avuto allora è che ci fosse stata una accelerazione inusuale, con un "cronoprogramma" ben diverso da quello degli altri processi».

Quale peso può avere, oggi, questo fatto davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a cui Silvio Berlusconi si è rivolto già nel 2014?
«Credo che ne avrà molto di più la dichiarazione postuma del relatore Amedeo Franco che parla di plotone di esecuzione e sentenza già scritta» .

Il relatore Amedeo Franco avrebbe tentato di registrare la camera di consiglio. I giudici del collegio non lo hanno denunciato. Tutti zitti. Cosa ne pensa?
«L'uso disinvolto e talvolta spregiudicato delle registrazioni è stato inaugurato dalla stessa magistratura, talvolta con aspetti grotteschi. A metà degli anni '90 alcuni giudici romani, indagati dalla procura di Milano, erano sotto intercettazione mentre stavano in un bar vicino al Palazzaccio. La "cimice" si ruppe e il maresciallo, invece di lasciar perdere, si accostò al tavolino degli intercettandi, origliò, e trascrisse la conversazione su un tovagliolo. Invece di cestinarla, quella porcheria fu trascritta, ovviamente in modo scorretto. Si sarebbe dovuto aprire un'inchiesta, invece non successe quasi nulla, a parte che il povero collega Misiani mori di crepacuore. Come Loris D'Ambrosio qualche anno fa, per le intercettazioni sulla cosiddetta trattativa Stato Mafia. Con questi precedenti ignobili, è inevitabile che le regole siano saltate, proprio perché a violarle sono stati quelli che avrebbero dovuto farle rispettare. Il giudice Franco, visti i tempi, avrà voluto cautelarsi».

La segretezza della camera di consiglio vale anche se viene consumato un illecito?
«La legge prevede la "dissenting opinion", cioè il dissenso espresso in busta chiusa da parte del giudice che non concorda. Non si usa quasi mai. E posso dire che la riservatezza propria e altrui è stata violata così tante volte da parte di magistrati che il rispetto delle regole è ormai una opzione metafisica».

Adesso è tardi per denunciare?
«Il Relatore che ha provato a registrare è morto, quindi non c'è la materia del contendere. Da vivo, avrebbe potuto difendersi squadernando tutte le illegalità e le colpe in vigilando commesse da altri magistrati in altri processi, dove però non è accaduto nulla. Osservo che la notifica a Berlusconi dell'informazione di garanzia a Napoli nel 1994 attraverso un giornale era un reato, eppure nessuno ha indagato sull'autore della violazione del segreto istruttorio».

Dunque i precedenti ci sono ma tutto continua a passare sotto l'uscio. Alla faccia del Csm di cui qualche giudice che era in quell'aula e ha taciuto, ha fatto pure parte. «Penso che dopo la vicenda Palamara, che peraltro ha rivelato cose note a tutti, il Csm così com' è andrebbe soppresso, e sostituito da un organo costituito da membri sorteggiati tra i magistrati di Cassazione, i docenti universitari e i presidenti dei consigli forensi. Tutte persone, per definizione, intelligenti e preparate».

Perché cita la legge Severino?
«Quella è stata la pagina più vergognosa della vicenda che ha portato all'estromissione di Berlusconi dalla politica attiva. La legge prevede la rimozione del condannato ancor prima della sentenza definitiva, e questo è già grave. Ma può anche starci. Quello che è intollerabile è che sia stata applicata retroattivamente, cioè per fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore. Qui l'atteggiamento della sinistra è stato addirittura goffo. Poiché la sanzione penale non può esser retroattiva, si è detto che quella era una sanzione amministrativa. Peggio che peggio, perché anche queste sanzioni seguono gli stessi criteri di quelle penali. Quando questi dilettanti hanno capito la gaffe, hanno sostenuto che si trattava "del venir meno dei presupposti di eleggibilità", formula vana e gesuitica che non significa nulla. In realtà cacciare via dal Parlamento un membro eletto è un provvedimento afflittivo, e come tale irretroattivo. Fui uno dei primi a sostenerlo. E il fatto che molti giuristi abbiano privilegiato la ragion politica all'elementare interpretazione della norma in senso garantista mi ha disgustato. Oggi vedo che quasi tutti ammettono l'errore. E speriamo che fosse solo un errore».