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Susanna Ceccardi e Salvini, vittoria alle regionali in Toscana: la soglia di affluenza che deciderà tutto

Elisa Calessi
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Sono arrivati anche i ministri, nell'ultimo miglio di una partita che sta diventando l'Ohio italiano. Ieri è toccato a Francesco Boccia, responsabile agli Affari regionali, poi a Dario Franceschini, in collegamento. Tutti impegnati per evitare un esito che potrebbe provocare conseguenze incalcolabili. Per il Pd, per la maggioranza, per il governo. Anche se tutti cercano di confinarlo a un voto locale, anche ieri Nicola Zingaretti ospite di Porta a Porta, tutti sanno che il voto in Toscana non sarà un voto locale. Perché è un simbolo, è l'altro confine del triangolo rosso, nonostante da tempo non sia più rossa, come raccontano i sei capoluoghi su dieci ormai governati dal centrodestra (Pisa, Arezzo, Pistoia, Grosseto, Massa, Siena) e un centrosinistra progressivamente ridotto al capoluogo di regione, Firenze, unico punto certo. I dem toscani lo raccontano senza troppi giri di parole: la "cintura di Firenze", più Empoli, è l'unico cordone che regge all'onda Ceccardi, all'avanzata del centrodestra. Tutta la costa è spostata verso il centrodestra. E lo è anche l'entroterra lontano da Firenze, dove il benessere di un tempo è scomparso da anni, la crisi morde, la disoccupazione sale.

E l'emergenza Covid non ha fatto che aggravare questi dati. Resiste Firenze, sì. «Se la sognano, Firenze», si dice nel Pd. Senza nascondersi, però, che il resto del campo è già perso. E chissà da quanto. Le elezioni toscane sono, poi, anche una sfida dal sapore antico: Firenze contro tutti. O tutti contro Firenze. Una contrapposizione che vede il "contado" soffrire, da sempre, la supremazia della città. E i candidati impersonano questa sfida: Giani è fiorentino e, si ricorda nel Pd, da più di dieci anni non c'è un presidente della regione fiorentino. Ceccardi è pisana, è l'anti-Firenze, la possibilità per i non fiorentini di vincere sul capoluogo.

 

 

In queste ore in cui i sondaggi non si possono pubblicare, le chat dei parlamentari sono piene di rilevazioni, analisi, sondaggi. Che confermano quanto si sapeva. È una partita in bilico, niente è scontato. Molto, si dice nel Pd, dipenderà dall'affluenza. Si dice sempre, in qualsiasi elezione. Ma questa volta è particolarmente vero. Perché Firenze, da sola, pesa moltissimo in termini di elettori. Ma dipende in quanti andranno a votare. E nelle ultime votazioni c'è stato, in Toscana, una progressiva disaffezione. Se l'affluenza è sotto il 45%, si dice nel Pd toscano, non basterà Firenze. E poi ci sono i candidati. Giani è un politico vecchia maniera. Conosce tutti i sindaci della Toscana, uno per uno, sa i nomi degli amministratori del più piccolo paesino, conosce palmo a palmo la classe dirigente di questa regione, dicono tutti di lui. Ma, appunto, parliamo di classe dirigente. Non di popolo, di gente fuori dagli schemi dei partiti. Giani è un politico vecchia maniera. Penalizzato dal Covid, che lo ha oscurato per mesi. Ceccardi ha meno rapporti, ma, in questo momento, cavalca il sentimento di quelli che sono ai margini, di quelli che a Firenze non ci vanno da anni. Ma non è detto che basti. Poi c'è la contesa tutta interna al centrosinistra, su chi sarà la colpa in caso di sconfitta. Per Matteo Renzi è del Pd, che non si è impegnato a sufficienza, per il Pd è di Renzi, perché è stato lui a scegliere Giani, è un suo uomo. In ogni caso, nonostante l'allaramismo, al Nazareno sono fiduciosi. Vincerà Giani, di poco ma vincerà, dicono.

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