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Antonio Noto su Giuseppe Conte: "Gli italiani credono ancora al premier grazie all'emergenza coronavirus"

francesco specchia
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«Col cavolo che andrà tutto bene». Antonio Noto, classe '64, napoletano verace, sociologo di piega statistica, allievo dell'immortale Nicola Piepoli, è titolare: di un imprescindibile istituto di sondaggi che spopola in tv a Porta a porta (il "Noto sondaggi"); di una faccia facciosa che lo fa somigliare a un oste ossessionato dalla qualità del desco e dell'impiattamento, anche se lui serve sondaggi freschi; di una capacità demoscopica che, in definitiva, gli fa scovare nei balletti dei numeri lo stato mentale di una nazione.

Caro Noto, com'è il nostro stato mentale col ritorno prepotente del Covid? Denso di speranze o di inquietudini?
«La seconda che ha detto. Mi è appena scappato un sondaggio. La maggioranza degli italiani, circa il 51%, teme in questo momento, che ci sia un nuovo lockdown. Ma, anche se non ci fosse un nuovo isolamento, solo il timore che ciò avvenga produce effetti sull'economia: rallentano i consumi, meno investimenti, si risparmia di più e cala l'occupazione. Praticamente un secondo lockdown, prima ancora che ci sia il vero lockdown. I danni ci sono lo stesso e sono grossi».

È quello che Carlo Cottarelli chiama l'«effetto paura», da solo ci fa perdere il 5% del Pil. Ma scusi, non eravate voi sondaggisti a registrare un leggero ottimismo degli italiani sul loro futuro?
«Eravamo. Mi dispiace, ma in questo momento non vedo ottimismo tra gli italiani. Ora come ora, la gente non riesce a scorgere la fine del tunnel, una chiara strategia per il futuro. Non è come a luglio o ad agosto ché il virus pareva sconfitto. La psicologia dei comportamenti collettivi è cambiata. In peggio. C'è da dire che all'estero stanno messi peggio».

 

 

Cioè lei mi dice che c'è una depressione che serpeggia incontrollabile?
«Registro come una sorta di rassegnazione diffusa nella convivenza col virus. Ma in mancanza di prospettiva ci facciamo bastare i governanti che abbiamo».

Non mi torna. Il governo di Giuseppe Conte gode ancora di grande popolarità. Perché, allora, addirittura un sondaggio (che non è il suo) darebbe una fantomatica "Lista Conte" all'11%?
«Sul governo l'opinione pubblica si comporta come un Giano bifronte. Da un lato c'è una forte critica, però questo non incide sulla fiducia verso il governo stesso. Mi spiego. Il premier col suo 41% di popolarità è tuttora considerato il politico più autorevole dopo il Presidente della Repubblica, dopo di lui, per dire c'è Giorgia Meloni al 30% abbondantemente distaccata, poi Salvini al 28%, Zingaretti al 22%, Di Maio molto indietro al 18%. Qui il messaggio del popolo è chiaro: gli italiani concedono ancora la fiducia a chi governa. L'esecutivo è delegato alla loro protezione. Ma proprio per questo si sentono giustamente in dovere di poterlo criticare duramente».

Non mi ha risposto sull'eventuale bocca di fuoco di un futuribile partito centrista del premier, oltre il Movimento Cinque Stelle...
«È un sondaggio attendibile ma vecchio. Già prima dell'estate noi stessi davamo un "partito di Conte" al 15%. Però si deve specificare anche che i sondaggi sui partiti che non esistono sono sempre sovrastimati. Successe anche col rassemblement di Mario Monti che era capo del governo. Anche lì i voti smentirono le previsioni. Si tratta di capire se e come una Lista Conte potrà avere appeal nelle urne. La formazione del consenso è complessa. E - parliamoci chiaro - quest'esecutivo non ha ampli progetti. Sì, sta tamponando l'emergenza, ma non è che col Recovery Fund si risolveranno tutti i problemi, non si sa come andranno le cose a lungo termine».

Ma, parlando di Recovery, non ci dovrebbe arrivare una pioggia di 209 miliardi? Il ministro dell'economia Gualtieri è molto fiducioso su questo, parla di un rimbalzo del Pil del 6% (anche se non si capisce dove rimbalza). Lei non ci crede?
«Io registro quel che credono gli italiani. E sulla Ue ci sono opinioni contrastanti. Si crede ancora nell'Europa, ma pure che l'economia alla fine non ripartirà perché non c'è la fiducia sulla pioggia di soldi di cui lei parlava. O, in ogni caso, se ci arriveranno, non c'è la fiducia che quei soldi saranno gestiti con accortezza. Il Recovery, insomma, non è visto come miccia che faccia ripartire l'economia. Rientra nel tema di depressione generale di cui sopra».

Quindi sarà su questo che Conte perderà il suo consenso (sempre che lo perda)?
«Al contrario. Sa qual è il grande vantaggio di Conte?».

Mi illumini.
«I suoi avversari non hanno capito che durante il lockdown e nonostante le critiche per l'eccesso di esposizione, il Presidente del Consiglio è stato l'unico che ci abbia messo davvero la faccia. Non c'è stato il Pd, men che meno i 5 Stelle. Ma neppure la destra, se vogliamo. Con Conte si è verificato lo stesso effetto dei vari governatori, da De Luca a Zaia a Toti. Si è avuta la sensazione, legittima, che Conte si sia sporcato le mani. E se ti sporchi le mani, puoi anche consentirti di commettere degli errori; in ogni caso hai la mia fiducia».

Una volta, elettoralmente si andava alla ricerca dell'Uomo nuovo, avulso dai partiti, piglio deciso, voglia di buttare all'aria il banco. Era un riflesso pavloviano degli elettori stanchi. È ancora così?
«C'è molto scetticismo nell'"Uomo nuovo", oggi. Lo è stato Renzi che ora sta al 4% ma ha un gran peso nel governo. Lo sono stati i 5 Stelle ma hanno fallito. Potrebbe essere Calenda, difficile valutarlo. Tenga conto che soltanto il 10%-15% della popolazione italiana si interessa attivamente di politica; ed è quindi difficile valutare una proiezione della forza di Calenda o di chiunque altro nel prossimo futuro».

Una volta, quando ha iniziato lei, negli anni '80 ai tempi della Doxa e di Piepoli, i sondaggisti erano un oracolo. Poi avete sbagliato molto, siete aumentati di numero e in parte calati nella percezione d'autorevolezza. Cosa è accaduto?
«Molti sbagliano e interpretano i sondaggi come una proiezione per il futuro, invece sono una fotografia dell'esistente. E molti si stupiscono perché un sondaggio fatto magari due mesi prima rispetta esattamente il risultato del voto nonostante la campagna elettorale. In realtà le campagne elettorali, nell'80% delle volte non spostano un voto».

Come, non spostano un voto?
«È così. Salvo nel caso di leader dalla forte personalità. Non tanto Renzi che fece il suo exploit una sola volta alle Europee; semmai Berlusconi che tra gli anni 90 e 2000 partiva sempre con circa 7/8 punti in meno nelle previsioni di voto, e li recuperava tutti nell'ultimo mese. Ne studiavamo la crescita giorno per giorno. Un fenomeno difficilmente replicabile. I leader, in realtà, il popolo non li vede, sono loro che devono presentarsi e imprimersi nell'immaginario».

Lei ha sfoderato un sondaggio secondo il quale alla maggioranza degli italiani non sfagiolerebbe il reddito di cittadinanza. Conferma?
«Sì. L'8% degli italiani ritiene che il reddito di cittadinanza non sia prorogabile così com'è. Un buon 40% vorrebbe abrogarlo del tutto e un altro 40% sarebbe per rivederlo e rimodularlo. Ma questa non è una novità legata alla truffa dei furbetti che lo intascano a vanvera o per comprare droga e spacciare. Sin da quando è stato varato il reddito era già inviso a tutti. È il contrario di Quota 100: pochissimi la vogliono cancellare, quasi tutti sono per mantenerla. Il motivo è che in Italia la pensione è la pensione».

Che ricordo amoroso ha del suo primo sondaggio?
«È quello a cui sono più affezionato, risale al 1993. Era sulle elezioni a sindaco di Napoli. Una lotta serratissima tra Antonio Bassolino, vero comunista operaista, e Alessandra Mussolini che rappresentava il mondo opposto. Quello fu un sondaggio che fece epoca. Ci azzeccai, soprattutto. Come avviene spesso...».

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