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Un museo canta Napoli, ma in tv censurano Totò: ecco la stanza delle meraviglie

Lucia Esposito
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La musica di Napoli è molto più del suono che accompagna le giornate: è l’anima della città, l’essenza di un popolo che ha regalato al mondo canzoni ancora vive dopo secoli. Quando nel 1920 alle Olimpiadi di Anversa vinse il marciatore Ugo Frigerio, la banda che doveva eseguire l'inno italiano aveva perso lo spartito della Marcia Reale e così il direttore, per togliersi dai guai, chiese ai suoi orchestrali di suonare 'O sole mio che tutti conoscevano a memoria. 

Immediatamente il pubblico cominciò a intonare la canzone di Giovanni Capurro e Eduardo Di Capua. Che Napoli fosse la città della musica era noto fin dai tempi dei romani tanto che l'imperatore Nerone, che amava comporre e cantare, scelse di esibirsi in un tempio pagano nel luogo che oggi si chiama Madonna di Piedigrotta.

 

Qui per anni si è svolta una festa in cui sono state lanciate moltissime canzoni diventate poi dei classici (tra queste anche 'O sole mio). E ieri, dall'altra parte della città, nel quartiere popolare di Forcella, Marisa Laurito, direttore artistico del Teatro Trianon Viviani ha inaugurato il museo della canzone napoletana. Ma non immaginatevi un luogo polveroso e nostalgico di un passato da mettere sotto teca e da contemplare come qualcosa di perduto.

Si chiama La stanza delle meraviglie ed è uno scrigno in cui il visitatore viene accolto - o meglio rapito - e portato letteralmente "dentro" le melodie delle canzoni napoletane. È uno spazio virtuale - ideato da Laurito e disegnato dal regista e scenografo Bruno Garofalo - che offre al pubblico la possibilità di un'immersione nella secolare tradizione musicale della città. I fortunati che entrano in questa stanza si ritrovano a passeggiare prima tra vicoli e il vociare dei venditori ambulanti mentre risuonano le tante canzoni ispirate al mercato.

La scenografia cambia poco dopo, le urla di ambulanti e scugnizzi sono sostituite dallo sciabordìo delle onde e, nel frattempo, partono le note delle canzoni dedicate al mare che contiene Napoli come in un grande abbraccio.

 

La passeggiata virtuale conduce poi il visitatore tra i paesaggi incantevoli dalla Costiera Amalfitana. Foto e dipinti d'epoca, e una ricostruzione ambientale in costume, consentiranno un viaggio nel tempo e nello spazio. Poco più di venticinque minuti per immergersi in un passato che la città e il mondo intero non ha mai archiviato.

«Ho sognato questa stanza già negli anni Novanta e per me questa è la realizzazione di un sogno. Amo tutte le canzoni del primo Novecento. In quegli anni doveva esserci qualcosa di speciale a Napoli, un profumo di fiori e di mare che ispirava tutti, dai ciabattini ai dottori. Il grande Raffaele Viviani, per esempio, non sapeva leggere e scrivere e quindi componeva la musica nella sua testa e poi la fischiettava a un maestro di pianoforte. 

A Napoli arrivavano anche i grandi del Belcanto per ascoltare e ispirarsi alle melodie partenopee», spiega entusiasta la Laurito. Entro la fine dell'anno il Trianon Viviani aprirà anche la Stanza della Memoria, uno spazio pubblico, curato da Pasquale Scialò: sarà possibile fruire contenuti digitalizzati dall'âge d'or dell'Ottocento ai giorni nostri: registrazioni audio, spartiti a stampa, manoscritti autografi, locandine, manifesti, programmi di sala, fotografie, caricature e filmati. «Sono molto fiduciosa per il futuro.

 

Ci sono tanti giovani promesse in cui credo molto. La musica napoletana non smetterà mai di suonare», dice Marisa Laurito. Peccato che l'onda del politicamente corretto si sia abbattuta pure su una della più belle canzoni napoletane, Malafemmena di Totò. Durante una puntata di Amici la parola "malafemmena" è stata censurata perché ritenuta scorretta. Potremmo ricordare che in dialetto "malafemmena" si usa per una donna che prova piacere nel veder soffrire il proprio spasimante e che non è affatto un'offesa. 

Ma per zittire quelli che in nome del politicamente corretto si sentono in dovere di mettere il silenziatore a un capolavoro di musica e parole come Malafemmena, ci sembrano molto più efficaci le parole dello stesso Totò: «Mami faccia il piacere...».

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