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Vladimir Luxuria, confessione privata: "Perché non cambio se*** del tutto". Le battute di Sgarbi sul suo pene

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Vladimir Luxuria

Francesco Specchia
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Vladimir Luxuria è in estasi. Respira il nuovo anno nelle strade ingobbite di San Francisco, in pellegrinaggio tra il quartiere gay di Castro e i luoghi dell'attivista Harvey Milk. È alla caparbia ricerca di una storia per Lovers, il suo festival cinematografico. Non so se l'ha trovata. Ma per telefono, scavando in un passato inedito, noi, di storia, si può riscoprire la sua.

Wladimiro Guadagno in arte Vladimir Luxuria: due visioni contrapposte mi si pongono innanzi. Da un lato c'è lei immersa nella storia dei diritti civili americani; dall'altro, in tv Italia1, che annuncia (per il 4 gennaio in prime time) Back to school, il programma di Nicola Savino in cui lei e altri 24 concorrenti venite massacrati da maestrini over 10 che vi costringono a rifare l'esame di quinta elementare. Uno iato culturale...
«Capisco il suo imbarazzo. L'ho avuto pure io in Back to school. All'inizio l'ho presa con molta leggerezza, poi questi bambini che noi chiamiamo i "maestrini" ci impartivano lezioni per niente intimoriti, anzi. Ed è finita che mi sono messa a studiare durante l'estate come una pazza, con mia madre che mi interrogava, ci sono nozioni delle elementari completamente dimenticate, io per esempio, ho dei problemi con le date storiche».

Eppure dal suo curriculum scolastico lei risulta laureata con 110 e lode in letteratura inglese, laurea su Youth di Conrad, il «Kafka uscito all'aperto». Che c'azzecca lei con Conrad?
«Conrad rappresenta un mondo oscuro, completamente diverso dal mio. Eppure, era in grado di passare dall'indagine nella profondità dell'essere umano di Cuore di tenebra alla sfida al mare del vecchio che naviga su un guscio di noce di Youth, verso l'ignoto in balia delle onde. Che - ci ho pensato dopo - era un po' la mia condizione esistenziale».

 

 

Non ci credo, Vladi. Mi sta facendo la lezioncina di letteratura?
«A me piaceva insegnare. L'ho perfino fatto per due mesi, negli anni 90, al liceo scientifico Galilei di Civitavecchia. Quando il Preside si accorse della mia "fluidità" si offrì di accompagnarmi in classe per evitare che gli studenti prendessero il sopravvento sulla/sul supplente. Li conquistai facendo loro l'esegesi del testo di Like a Virgin di Madonna».

Cioè, lei era un intellettuale. Mi è sempre sfuggito, però il suo passaggio alle feste, le Drag Queen, la stagione gay del Muccassassina, il locale romano da lei diretto. E, soprattutto, che ci faceva Bertinotti che da lì la candidò alla Camera per Rifondazione Comunista?
«Il Muccassassina è stata una palestra. Ci si divertiva ma alla fine ci si trovava sempre a discutere di temi come la lotta all'aids e i primi Gay Pride. È una mia piccola vittoria quella di consentire anche l'ingresso degli etero; i gay ortodossi tendevano a rinchiudersi in un recinto da soli, era una sorta di discriminazione al contrario. Da lì l'incontro con Fausto Bertinotti che volle che portassi in Parlamento le istanze del mondo gay».

Non crede che tutti i piumaggi e le paillettes dei Gay Pride possano nuocere alla vera, seria battaglia sui vostri diritti civili?
«Al Pride non si deve mica andare vestiti come a una riunione della Cgil. L'idea era quella del "voi fate finta di non accorgevi di noi? E allora noi ci facciamo notare il più possibile". Non sono mai stata ad un Gay Pride funereo se non in Russia; lì niente paillettes, sembravamo tutti becchini. Ma ci menarono lo stesso. E una volta, se solo qualcuno parlava di figlio matrimonio gli sputavano in un occhio; fino agli anni 70 gli happening finivano con una scopata collettiva. Oggi sembrano riunioni di condominio, con bambini, famiglie Arcobaleno. Senza contare che il Pride conviene a tutti. A Roma nel 2000 i soldi arrivarono da lì, più che dal Giubileo: i pellegrini se la cavavano con un panino. Gli omo sono pink money, flussi di denaro che girano».

Ma non si era riconvertita al cattolicesimo?
«Sì. Con la morte di Don Gallo, grazie ad alcuni amici preti e al nuovo approccio di Papa Francesco. Mi ha migliorato la qualità della vita. In fondo l'inclusione sessuale nella fede religiosa è il prossimo traguardo: in questo i valdesi, gli anglicani e i buddisti sono più avanti dei cattolici che sono meglio dei musulmani e degli ortodossi».

 

 

Però l'inclusione prevede anche compromessi politici. Prendiamo la legge Zan: non è stata un'occasione perduta, un harakiri di Pd e M5S?
«Zan era riuscito a far approvare anche un emendamento di Forza Italia. La lega, Italia Viva: erano tutti d'accordo col testo presentato alla Camera. Quando il Vaticano si è opposto, lì ho capito che era finita. Ma credo che prima o poi un testo sull'omotransfobia passerà; non so se sarebbe stato meglio votare il testo Scalfarotto, lì era stato tolto il concetto "identità di genere", chissà poi perché fa così paura».

La paura è umana. Non è forse per paura che lei - dopo rinoplastiche e mastoplastiche varie - non ha mai voluto fare il passo decisivo per diventare del tutto donna? Non aveva detto "adeguo la mia esteriorità alla mia intimità"?
«L'anestesia mi terrorizza. Anche se poi è vero: mi sono rifatta naso, labbra e seno in una botta sola. E, a dire il vero, attiravo l'attenzione degli uomini più come trans. La transizione richiede vari fasi: avendo piena proprietà del corpo si può fermare in qualsiasi momento. Ma anche andare avanti; non è detto che non cambi sesso del tutto. La pensava così anche Eva Robin's».

Sfogliavo i suoi alti rendimenti da parlamentare: quasi il 90% di presenze, 55 progetti di legge presentati dal ritiro dall'Iraq all'industria cinematografica. Leggo di un ddl sulla sicurezza negli stadi, presentato assieme a Giorgetti. Non le dà fastidio essere ricordata solo per il «meglio fascista che frocio» della Mussolini o di «per colpa di Guadagno nessuno va più in bagno» della Gardini scandalizzata di averla trovata nelle toilette?
«Certo. Anche se poi la Mussolini s' è scusata e nel caso della Gardini, almeno ho creato un precedente con i questori della Camera; ci fosse un altro trans può scegliere la toilette più adatta al suo genere».

E vero che è contro l'utero in affitto?
«Sì. Sono per una legge che, in Italia, agevoli le adozioni. Eliminerebbe anche la pratica dell'utero in affitto. È una battaglia che ho cuore da quando, vinta l'Isola e versati 100mila euro all'Unicef, mi chiamo l'allora Presidente Spadafora e mi chiede di andare in Mozambico a vedere a chi fossero destinati i miei soldi. E lì, in mezzo a bambini disperati che si aggrappano con gli occhi a te nella speranza che li porti via, be', sono entrata in crisi. Mi è venuta una voglia di maternità/paternità, a riempire un vuoto che evidentemente ho. Poi ci sono vari metodi per aver figli: anche Gesù Bambino è nato in un modo non del tutto tradizionale».

 

 

Ci sono cose che non rifarebbe? Tipo prostituirsi per «potersi mantenere in una città come Roma» (non era meglio fare la commessa, scusi)?
«Non mi prostituirei un'altra volta. Non posso dire di essermi pentita, era un periodo della mia vita. L'ho trascorso con lunghe sedute dall'analista; avevo passato talmente tante delusioni con gli uomini che, per ripicca, nella mia testa, decisi: non mi date niente e vi vergognate di me? Almeno datemi i soldi».

Aldo Busi le ha dato del «gay filogovernativo e trans di regime».
«Non me l'aveva mai detto nessuno. Ma amo troppo Aldo Busi per arrabbiarmi. Come Vittorio Sgarbi che è un genio, ma uno stri*** quando fa battute sul mio pene».

A leggere la sua biografia a volte sembra la Piccola fiammiferaia. C'è almeno un ricordo piacevole inaspettato nella sua vita affollata?
«Ma sa, c'è quella frase di Tennessee Williams sulla bontà degli sconosciuti. Mi ricorderò sempre di un mio amico di destra, Giorgio, che, completamente disinteressato mi prestò i soldi per comprarmi la casa al Pigneto senza farmi accendere il mutuo. Ovviamente restituii tutto. Ma venni travolta. Non era abituata ad essere trattata così...». 

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