all'angelus

Papa Francesco, Antonio Socci: il Pontefice tocca il cuore ma non quello dei potenti

Antonio Socci

Vincere. È la maledetta legge della guerra. Ma ieri il Papa ha posto a tutti una domanda: «Che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?». Chi potrà cantare vittoria con migliaia di morti e devastazioni immani? Di sicuro non cantano vittoria i popoli, la carne da macello sulla cui pelle i potenti decidono le loro strategie di potere. L'unica guerra che i popoli vincono è quella che si scongiura o si ferma. Il Papa è addolorato da questa follia che rischia di trascinare il mondo intero in una catastrofe. Il suo grido - «Fermatevi!»- si leva di continuo: è la voce stessa di Dio davanti al quale tutti dovranno comparire in giudizio. Ieri il Pontefice all'Angelus ha sottolineato che l'unica vittoria che vale la pena cercare è quella che celebriamo nei prossimi giorni, la Pasqua cioè «la vittoria del Signore Gesù Cristo sul peccato e sulla morte. Sul peccato e sulla morte, non su qualcuno e contro qualcun altro. Ma oggi» ha ripreso il papa «c'è la guerra. Perché si vuole vincere così, alla maniera del mondo? Così si perde soltanto. Perché non lasciare che vinca Lui? Cristo ha portato la croce per liberarci dal dominio del male. È morto perché regnino la vita, l'amore, la pace».

 


SERVE UN MIRACOLO
Il Papa ha dunque implorato il miracolo che sembra impossibile: «Si depongano le armi! Si inizi una tregua pasquale; ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no!, una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente». È realista il Pontefice, ricorda ai capi che la nobile arte della politica esige il compromesso: sacrificare qualche posizione «per il bene della gente», per scongiurare altri eccidi e sofferenze. «Infatti», ha chiesto, «che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?».

È commovente pensare che nel mondo c'è almeno una voce che dice parole vere, non di odio, e si muove per il bene delle popolazioni. Poco prima, nell'omelia della Domenica delle palme che dà inizio alla Settimana Santa, il papa ha indicato chi ci dà l'unica vittoria che vale la pena cercare, rende felici e dura per sempre: quella sul male e sulla morte. Gesù sulla croce veniva schernito così: «Salva te stesso». È l'idea guida dell'umanità che pensa solo «al proprio successo, ai propri interessi; all'avere, al potere, all'apparire».

 


Questa mentalità «si scontra con il Salvatore che offre se stesso». Davanti a chilo accusa e lo condanna Gesù mai «rivendica qualcosa per sé; anzi, nemmeno difende o giustifica se stesso. Prega il Padre» e prega così: «Padre, perdona loro». Il Papa sottolinea queste parole vertiginose che vengono pronunciate da Gesù «durante la crocifissione, quando sente i chiodi trafiggergli i polsi e i piedi. Proviamo a immaginare il dolore lancinante che ciò provocava. Lì, nel dolore fisico più acuto della passione, Cristo chiede perdono per chi lo sta trapassando. In quei momenti verrebbe solo da gridare tutta la propria rabbia e sofferenza; invece Gesù dice: Padre, perdona loro... non rimprovera i carnefici e non minaccia castighi in nome di Dio, ma prega per i malvagi. Affisso al patibolo dell'umiliazione, aumenta l'intensità del dono, che diventa per-dono».


Anche per il ladrone che si commuove: «Tutti si sono dimenticati di me, ma tu pensi pure a chi ti crocifigge. Con te, allora, c'è posto anche per me». È difficile non commuoversi (e chi scrive confessa di aver avuto il groppo in gola mentre ascoltava queste parole del papa con sua figlia): «Dio fa così anche con noi: quando gli provochiamo dolore con le nostre azioni, Egli soffre e ha un solo desiderio: poterci perdonare. È dalle sue piaghe, da quei fori di dolore provocati dai nostri chiodi che scaturisce il perdono. Guardiamo Gesù in croce e pensiamo che non abbiamo mai ricevuto parole più buone: Padre, perdona. Guardiamo Gesù in croce e vediamo che non abbiamo mai ricevuto uno sguardo più tenero e compassionevole. Guardiamo Gesù in croce e capiamo che non abbiamo mai ricevuto un abbraccio più amorevole. Guardiamo il Crocifisso e diciamo: 'Grazie Gesù: mi ami e mi perdoni sempre, anche quando faccio fatica ad amarmi e perdonarmi'».

 

 


SIAMO TUTTI FIGLI
Davanti a questa follia d'amore, «l'amore per i nemici», riprende il Papa, «pensiamo a qualcuno che ci ha ferito, offeso, deluso... Gesù oggi ci insegna a non restare lì, ma a reagire. A spezzare il circolo vizioso del male e del rimpianto. A reagire ai chiodi della vita con l'amore, ai colpi dell'odio con la carezza del perdono». Perciò «compassione e misericordia per tutti» dice il Papa «perché Dio vede in ciascuno un figlio. Non ci divide in buoni e cattivi, in amici e nemici. Per Lui siamo tutti figli amati, che desidera abbracciare e perdonare... Dio non si stanca di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono, ma Lui mai si stanca di perdonare». Infatti Gesù non si mette mai «contro di noi», ma anzi «si fa nostro avvocato» e - dice il Papa - «è interessante l'argomento che utilizza: perché non sanno, quell'ignoranza del cuore che abbiamo tutti noi peccatori. Quando si usa violenza», dice il Papa «non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo... nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli... nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio». Ma è lui che risorge e vince. L'unica vera vittoria. Quelle del mondo sono piene di rovine e di morte.