Una foto alla politica

Antonio Noto su Giorgia Meloni: "Riesce a convincere anche i cittadini senza vincolo ideologico"

Antonio Rapisarda

Del domani "politico" per Antonio Noto - analista e presidente della Noto sondaggi - non v' è certezza. Ma chi vuol essere lieto, o per lo meno non trovare brutte sorprese alle Politiche del 2023, non può non seguire la regola aurea: «Andare fuori dal proprio "campo"». Perché in realtà, al di là delle indicazioni che emergono dalle rilevazioni demoscopiche e dal pallino che sembra saldo in mano al centrodestra, la partita non si deciderà con i voti attuali delle coalizioni. L'obiettivo? «Devono raggiungere il cosiddetto "elettorato indeciso" che in termini percentuali vale tantissimo e che in ogni elezione fa vincere o perdere qualcuno...».

Una cosa si può dire con certezza. Le Amministrative hanno sancito sul campo che la "prima stella a destra", parafrasando Bennato, è Giorgia Meloni.
«È così. È interessante analizzare il trend della Meloni. In generale i suoi consensi sono aumentati quattro-cinque volte rispetto alle Amministrative del 2017. Allora FdI valeva circa il 4-5%: ecco che moltiplicato quel risultato per quattro oggi ha un quoziente del 20-22% a livello nazionale. Un dato coerente con le nostre rilevazioni. Che cosa è accaduto inoltre? Che nella realtà FdI non è aumentato in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Al Sud praticamente è rimasto lo stesso; e su questo dovrebbero un po' interrogarsi. Detto ciò FdI è cresciuto enormemente al Nord: è troppo facile dedurre che una parte cospicua di questo flusso provenga dalla Lega.

La conquista delle città del Nord è un gettone per la sua premiership?
«Diciamo che l'onda emotiva è a favore di FdI. Il punto di forza di Meloni è questo: se oggi il suo è un posizionamento orgogliosamente di destra, dall'altra parte non aggrega solamente l'elettorato di destra. Altrimenti avrebbe molti meno consensi. Più del doppio dell'elettorato che ha conquistato sostanzialmente non è di destra tout court: sono cittadini, senza vincolo ideologico, che hanno fiducia in lei e nel suo progetto».

Nel suo ultimo sondaggio FdI è dato al 22,5%. Dove può arrivare?
«Dipende un po' dalla legge elettorale e da quali saranno le alleanze. In un'altra indagine, effettuata per Porta a Porta, abbiamo stimato il consenso a FdI nel caso in cui dovesse presentarsi da solo. Con questa legge elettorale (il Rosatellum, ndr) avrebbe un incremento di circa tre punti rispetto al risultato in coalizione. Adesso che è intorno al 22,5 potrebbe già scavalcare il 25%. Però qui c'è un problema: se il sistema elettorale rimane questo, pur correndo da soli, Meloni e i suoi rischierebbero di non conquistare la gran parte dei collegi uninominali. Quindi potrebbero avere un grande risultato in termini percentuali ma non avere un grande risultato in relazione al numero dei parlamentari eletti».

Matteo Salvini, dopo l'exploit del 34% alle Europee, è tornato sotto i livelli del 2018. Per molti è segno della crisi del progetto nazionale...
«È finito quel legame emotivo che Salvini aveva creato con una fetta importante dell'elettorato. Il "disastro" è proprio il paragone fra i risultati di oggi con le Europee: il momento massimo del segretario e della Lega al governo».

Quali le cause?
«Per prima cosa ha perso completamente il Sud. Ormai lì dove va bene arriva al 4-5%. Tra l'altro la Lega nel Meridione non si è presentata nemmeno con il suo simbolo ma con "Prima l'Italia": quasi a comunicare un mea culpa. Segno che si è interrotta quella connessione che si era creata invece alle Europee, dove quasi ovunque al Sud la Lega era diventato primo partito con picchi superiori al 20%. Altro fattore che ha determinato il crollo della Lega è il forte arretramento nelle aree del Centro e anche in una parte di quell'elettorato di sinistra che sia alle Politiche che alle Europee votò per il Carroccio per dare uno schiaffo al Pd. Il terzo elemento che è venuto a cadere è quello della borghesia del Nord. Il partito sta perdendo attrazione nel ceto dirigenziale: questo è un ambiente, come abbiamo visto alle Amministrative, che si è rivolto a FdI. Questi tre fattori messi insieme hanno generato il decremento significativo della Lega».

Come e cosa può recuperare?
«La Lega, come il M5S, è un partito che ha raccolto grande consenso perché ha fatto delle promesse molto forti. Poi però entrambi hanno dovuto creare alleanze per governare: cedendo necessariamente qualcosa e causando così una forte delusione in una grossa porzione dei due elettorati. La situazione, dunque, è complicata: perché è molto più facile attrarre un elettorato che non ti ha mai votato che non riattrarre adesso un elettorato che ti ha votato ma è rimasto deluso».

Forza Italia ha appena festeggiato l'ingresso di Tosi. Segno che il partito di Berlusconi è ancora attrattivo?
«In questo momento è un po' più "Forza Berlusconi". Il Cavaliere ha uno zoccolo duro che nei sondaggi è sempre intorno al 7-8%. Forza Italia a Palermo è andata molto bene mentre invece in altri comuni ha avuto il 2-3%. È un partito in vita ma stazionario. Quelli che lo votano lo faranno fino a che il Cavaliere deciderà di stare in campo. Indipendemente dalla comunicazione e dai progetti. È questo che lo rende stabile. Anche nelle rilevazioni».


Ciò che è instabile è il M5S. Ne resterà soltanto uno fra Conte e Di Maio...
«Se dovesse andare via Di Maio, nell'immaginario collettivo, sarebbe un po' la fine del M5S perché Di Maio in fondo è la storia del M5S. La cosa paradossale di Conte è un'altra: ha pensato, erroneamente, che il suo alto indice di fiducia potesse avere un valore anche nel momento in cui fosse diventato leader del M5S. Mentre, per gli italiani, non c'è nessun legame fra Conte e i grillini: tanto è vero che nel momento in cui lui è diventato capo politico il M5S ha continuato a perdere consensi. Il suo errore politico è stato quello di fare l'opa sui grillini. Se avesse creato un suo partito avrebbe avuto più successo rispetto a quello che ha oggi».


I rumor sostengono che Luigi Di Maio voglia costituire un soggetto a sostegno di Draghi. Stesso discorso per Calenda, Renzi e centristi vari. L'area Draghi, insomma, inizia ad ingolfarsi. Crede che il premier, ingolosito, possa farci un pensierino? O ci penserà lo "spread" a tenerlo a Palazzo Chigi?
«Pure su Draghi dobbiamo stare attenti. Ricordiamoci l'esperienza di Mario Monti. Era una dinamica diversa ma non è detto che se uno ha il know how per poter governare bene ciò poi produca consenso. Bisogna capire, poi, come sarà percepito il premier tra un anno. Un anno fa il suo appeal era molto più forte di oggi. Adesso gli italiani iniziano a fare i conti e occorre capire - indipendentemente dalla volontà di Draghi di proseguire - se sarà in grado di far percepire un miglioramento della qualità della vita. È presto ancora per dirlo. Per i sondaggi, di certo, questa per lui è una fase critica. Un giro di boa. Se continua a scendere nel gradimento significa che a maggio prossimo avrà bassi livelli di fiducia. Se invece dovesse riuscire ad invertire il trend, nel 2023 potrebbe presentarsi con credenziali alte. In Italia però difficilmente è stato eletto due volte lo stesso premier: generalmente chi ha governato ha sempre pagato qualcosa a livello elettorale».


Veniamo ad Enrico Letta. Il suo Pd avrà pure tenuto discretamente alle Comunali ma il "campo largo" che immagina al momento sembra un "camposanto"...
«Il campo largo ha diversi problemi. Vale l'alleanza con i 5 Stelle? Perché, diciamo, l'obiettivo di Letta è avere il M5s, avere Calenda e seppur non lo dice a gran voce avere pure Renzi e Bersani. Il primo test del campo "larghetto" però non è andato bene: agli elettori delle Amministrative non ha presentato nessun progetto. L'unica notizia del campo largo, infatti, era che il M5S e il Pd si presentavano insieme. Nessuna comunicazione sulle motivazioni di quest' unione e su quale sia il progetto comune. Se si commette quest' errore anche a livello nazionale il campo largo avrà dei grossi limiti, se invece penseranno a costruire un po' l'anima, il dna, dell'alleanza allora può acquisire una sua identità. E l'identità programmatica è il modo per aggregare consenso. Altrimenti è solo un'alleanza elettorale. Che non aggiunge nulla politicamente, anzi "sottrae" più che sommare i voti dei due partiti».

Con questa legge elettorale il centrodestra nel 2023 ha la vittoria in pugno. Può perdere Palazzo Chigi solo con un autogol?
«Se vediamo quello che sta accadendo a Verona e con le Regionali in Sicilia... mai dire mai. Se tutto ciò dovesse avvenire - in termini di disgregazione - come farà il centrodestra a unirsi alle Politiche? Oggi come oggi la coalizione sembra unita più a parole che nei fatti: subito dopo il primo turno fatica a unirsi al ballottaggio. E dopo questo già qualcuno mette in discussione la ricandidatura di Musumeci in Sicilia. Se queste sono le premesse, possiamo dire - almeno al momento - che la conflittualità non si sta sanando. Si sta gonfiando».