Addio a Mario Tronti, il marxista che si opponeva al Pd fluido
La fortuna filosofica di Mario Tronti è legata senza dubbio a un libro pubblicato nel 1966, Operai e capitale, che ebbe rapido successo e ancora oggi è molto studiato e tradotto. Mentre in Occidente si cominciava già a parlare di società post -industriale, il filosofo italiano sembrava andare controcorrente proponendo una concezione del conflitto sociale primo -novecentesca, quando la fabbrica era il centro della produzione e il proletariato la classe a cui erano affidate le speranze della rivoluzione. Queste idee, in verità, Tronti le aveva maturate già negli anni precedenti, soprattutto quando nel 1963 aveva fondato con Renato Panzieri la rivista “Quaderni Rossi”.
Egli era entrato allora in rotta di collisione con il Partito comunista, in cui militava sin da giovane, contestando il ruolo del partito e del sindacato come mediatori nella lotta politica. La classe operaia, a suo dire, doveva fare affidamento solo su se stessa in un empito volontaristico che l’avrebbe portata a sovvertire l’odiato capitalismo. Fu proprio questo radicalismo che fece presa sulla generazione del Sessantotto, che lo elevò a suo “cattivo maestro”. Facendo dell’operaismo una dottrina di riferimento a cui avrebbe presto aderito anche un vero “cattivo maestro, e cioè Toni Negri. Tanto “cattivo” in verità Tronti non era: in lui c’era forte un’esigenza di conciliazione e armonia che faceva a pugni con quell’idea radicale di conflitto che egli, per sua stessa ammissione, aveva ereditato da un autore certo non di sinistra, quel Carl Schmitt che fra i primi aveva introdotto in Italia.
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Proprio alla luce di questa esigenza e afflato di purezza si spiega la conversione mistico -religiosa che il suo pensiero aveva subito da ultimo, con un avvicinamento forte al cattolicesimo che lo aveva portato ad avversare in seno al Pd, che lo aveva recuperato e fatto diventare per la seconda volta senatore nel 2013, ogni progetto di legge che strizzasse gli occhi alle nuove ideologie gender o del politicamente corretto. D’altronde, egli era andato elaborando nel frattempo anche una concezione della politica pienamente inserita nella tradizione italiana risalente a Machiavelli, soprattutto come direttore negli anni Ottanta della rivista “Laboratorio politico”. Egli stesso aveva ricondotto la sua esperienza operaista a un tentativo di arrestare la deriva woke della sinistra non solo italiana. L’operaismo, ha scritto, ha svolto una “funzione di opposizione attiva, consistita nel trattenere, nel ritardare quella deriva umanitario -filantropica della stessa figura dell’operaio di fabbrica, rimasta ormai l’ultima casamatta da conquistare per l’universalismo borghese”.
Ultimamente anche una vena di pessimismo aveva velato il suo pensiero: aveva definito i nostri «tempi oscuri», aggiungendo che «sono anche tempi artificialmente illuminati, che nascondono la notte con la luce dei lampioni. Ma la notte è qui, anche di giorno, solo che non si vede». Di famiglia umile, Tronti aveva continuato a vivere a Roma, ove era nato il 24 luglio 1931, in un quartiere operaio (suo nipote è Renato Zero). Oltre che nella sua città, aveva insegnato per tanti anni Filosofia politica all’Università di Siena.
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