La profezia del Grande Gatsby e la solitudine dell’uomo d’oggi

Un secolo fa usciva uno dei più importanti romanzi americani che nei “ruggenti anni ’20” intravedeva crisi e inquietudini post-moderne. Così attuali anche ora
di Dario Pregnolatogiovedì 24 aprile 2025
La profezia del Grande Gatsby e la solitudine dell’uomo d’oggi
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Domani correremo più forte, allungheremo di più le braccia e un bel mattino... Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato». È la frase che riecheggia, il verso intinto nell’amarezza che fuoriesce dal romanzo, portandosi dietro tutto il disincanto e la disillusione di Jay Gatsby. Solo e singolo, “quel singolo” kierkegaardiano, a testimoniare l’unicità imprescindibile dell’esistenza umana, la sola dotata di senso in un mondo che non presenta più alcun ordine prestabilito e si avvia, lentamente ma inesorabilmente, verso la «totale inconsapevolezza dell’apocalisse che si prepara». Il riferimento è alla fine di un’epoca, quella dei “Roaring Twenties”, i ruggenti anni ’20, l’età dell'oro del sogno americano, quella ventata inarrestabile di ottimismo e risveglio culturale, che covava però al suo interno pericolose zone d’ombra, che si sarebbero poi estese e riversate sull’Europa. La storia non si ripete mai per pacchetti uguali, ma il parallelismo con i nostri tempi è impietoso. Impietoso ed esemplificativo della lungimiranza e intelligenza preveggente di Francis Scott Fitzgerald, che già intravedeva inquietudine e smarrimento dell’uomo post-moderno, ma che quando scrisse Il Grande Gatsby, al culmine dei ruggenti anni ’20, non poteva certo pensare che a cento anni dalla sua prima pubblicazione, nell’aprile 1925, risultasse così tremendamente attuale.

Non in termini di un forzato e riduttivo parallelismo tra la fine di quel sogno americano con il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, come da più parti si è cercato di fare, bensì in un’accezione decisamente più esistenzialista, segnata dallo straniamento dell’individuo, con la profonda solitudine nella moltitudine. Con l’omologazione «D continua e scadente di pensiero e atteggiamenti poco decorosi, soprattutto tra i più giovani, avvolti in una forza virtuale portata dalla globalizzazione che ha segnato il nichilismo valoriale dei nostri tempi, con il venir meno di quel senso di gratitudine così come di una certa cultura dello spirito che dà senso al nostro esistere. In una società che ha sostituito l’essere con l’avere e dove l’immagine dei maestri di riferimento è stata sostituita da quella degli influencer. Così l’immagine elegante e sola di Gatsby sul pontile nell’ora del crepuscolo, contraltare alle scene di sfarzose quanto vuote feste, caratterizzate da superficialità, ipocrisia e totale indifferenza, rappresenta una sorta di ultimo baluardo, il rimpianto di un mondo perduto di integrità morale e di sentimenti autentici. Gatsby è il ritratto di un viandante solitario, umile e contemplativo. Ma anche «pervaso da un senso del peccato e della caduta», che nascondeva sotto il velo affabile della sua eleganza. Perché come diceva Adolf Loss, maestro dell’architettura moderna, «un giovane è ricco quando possiede due cose, delle buone idee e un bell’abito nell’armadio». Altrimenti a cosa serve possedere doti morali e intellettuali se non vengono valorizzate da un elegante abito?, si Chiedeva Loss, che metteva in guardia, perché «la regola d’oro è che nella buona società, tutto ciò che attira l’attenzione è contrario al buon gusto».

Così, se Gatsby incarna la solitudine della tradizione, degli ideali romantici e del coraggio, il lusso ostentato da Tom e Daisy Buchanan, che rappresentano la careless people, «gente indifferente», sono indicativi della dispersione contemporanea caratterizzata da sfarzi, eccessi e stravaganza evidenti nelle numerose feste su cui si costruisce la trama, quella più superficiale. Ma se il romanzo è da considerarsi un «classico» e Fitzgerald il più grande scrittore americano del Novecento, è perché c’è una trama più profonda quanto sfuggente, come il personaggio di Gatsby, e come il suo amore per Daisy, che arriverà a idealizzare a tal punto da non riuscire mai ad avvicinarla veramente, come quella luce verde in fondo al pontile che pulsa ininterrottamente per tutto il romanzo. La loro sarà solo intesa mentale quanto effimera, come leggere si posano su Daisy le camicie che Gatsby fa fluttuare dal suo guardaroba. Camicie così belle da commuovere, è l’ennesima metafora di «un sentimento di ignoto, l’intera massa delle rappresentazioni, dei concetti che abbiamo avuto finora, le catene del mondo, si sono dissolte e sprofondano come in un’immagine di sogno». Come recita la Fenomenologia dello spirito di hegeliana memoria. È la sublimazione della realtà nella sua pienezza e della vita nella sua complessità, ma anche il passaggio dall’euforica età del jazz all’incombente crisi della Grande depressione del 1929.