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La Venezi alla Fenice: il talento non si perdona

La notizia è ufficiale: Beatrice Venezi è il nuovo direttore stabile del Teatro La Fenice di Venezia. Una nomina che scuote il mondo musicale
di Enrico Stinchelli mercoledì 17 settembre 2025

3' di lettura

La notizia è ufficiale: Beatrice Venezi è il nuovo direttore stabile del Teatro La Fenice di Venezia. Una nomina che scuote il mondo musicale non solo per il rilievo dell’incarico, ma perché inevitabilmente si porta dietro polemiche, entusiasmi, malumori e divisioni. In Italia, si sa, l’Arte non riesce mai a essere soltanto Arte: deve sempre attraversare il filtro della politica, e ogni scelta artistica diventa subito un campo di battaglia ideologico. Oscar Wilde lo aveva intuito: il talento non si perdona.

È ciò che accade a Beatrice Venezi, giovane, donna, bella, dotata di forte carisma. Un profilo che attira applausi e attenzioni ma, insieme, critiche feroci. Ho avuto modo di vederla sul podio e al lavoro con l’orchestra: è una musicista seria, preparata, che sa affrontare il repertorio lirico e sinfonico con determinazione. Ricordo una luminosa interpretazione della difficile Turandot di Busoni a Torre del Lago, quando era pressoché sconosciuta. Da allora ogni sua affermazione, ogni suo gesto, viene analizzato con lente deformante, spesso più politica che musicale. Non parliamo di un astro improvvisato. Venezi ha diretto opere di repertorio importanti, ha collaborato con svariate orchestre, ha affinato il proprio mestiere con costanza. La sua crescita è già avvenuta ed è sotto gli occhi di chi l’ha vista dirigere. Parlare ancora di “promessa” significa negare l’evidenza: oggi è una direttrice in piena attività, con una personalità artistica riconoscibile e un’esperienza che la legittima pienamente.

Molto è stato scritto riguardo a critiche provenienti da taluni orchestrali, ma a ben vedere si trattò di episodi isolati, scaturite da musicisti che più che su questioni tecniche sembravano voler agitare bandiere sindacali. «Bacchetta nera», titolava Dagospia con malizia, e altri soprannomi non meno ridicoli circolavano seguendo un copione predeterminato. $ chiaro che non si trattava di analisi musicali, ma di etichette ideologiche. Ridurre il lavoro di una direttrice d’orchestra a slogan significa tradire la musica, non difenderla. Ciò che rende più velenoso il dibattito è il suo outing politico, il dichiarato avvicinamento a una parte della destra. In un Paese in cui la cultura è stata a lungo monopolio ideologico, una giovane direttrice che non si riconosce nella sinistra diventa automaticamente bersaglio. I detrattori, invariabilmente collocati da quella parte, gridano alla raccomandazione, alla “nomina politica”. È il modo più facile per negare i meriti di un artista: non discutere le qualità, ma etichettarlo.

Eppure è proprio questo il nodo: Arte e politica non devono mescolarsi e ogni volta che accade, i danni sono irreparabili. La politica ha il dovere di sostenere i teatri, le orchestre, i conservatori; non quello di trasformare ogni scelta artistica in un braccio di ferro ideologico. Un direttore deve essere giudicato sul podio, non in base al colore politico del padre o alle simpatie personali. Chi conosce Beatrice Venezi sa che non è solo immagine. Ha già dimostrato di saper affrontare partiture complesse, di possedere chiarezza di idee e senso del palcoscenico. È giovane, sì, ma oggi è già una figura matura, pienamente in grado di reggere una responsabilità come quella della Fenice. Un teatro così importante può trarre beneficio da una ventata di energia nuova, da una direttrice capace di coniugare la comunicazione verso il pubblico e la serietà del lavoro musicale. Le critiche, quando sono costruttive, possono e devono arricchire il dibattito ma il linciaggio ideologico non è critica: è solo la dimostrazione che Wilde aveva ragione, il talento non si perdona. La sua nomina a Venezia sarà ricordata come una tappa decisiva. Non perché “di destra” o “di sinistra”, ma perché porta sul podio una direttrice che ha saputo resistere ad attacchi volgari, spesso personali, e continuare a fare musica. E la musica, se è vera, resta l’unico tribunale possibile.

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