Su Emanuela Orlandi «la verità sta in cielo», disse Papa Francesco. I cazzotti, invece, volano ancora basso, a terra. Anzi, per essere più precisi, in pieno centro a Roma. Massimo Giletti, conduttore della trasmissione di Rai3 “Lo stato delle cose” può sicuramente confermare, così come i suoi telespettatori che ieri sera hanno visto il noto volto televisivo centrato da un pugno per la colpa di aver posto qualche domanda di troppo a un ex membro dei Servizi segreti che in passato aveva lavorato al caso. La trasmissione Rai, infatti, è tornata ad occuparsi del cold case vaticano per eccellenza dopo le notizie, uscite nei giorni scorsi, relative a una nuova, inedita pista familiare che vedrebbe coinvolto nella scomparsa della ragazza addirittura un parente stretto, lo zio Mario Meneguzzi. Ipotesi immediatamente respinta dalla famiglia al pari di un tentativo di depistaggio.
Stadi fatto che Giletti, il quale, di tanto in tanto, nonostante il ruolo di anchor man da studio, ama tornare segugio e reporter d’assalto, deve aver messo il naso laddove non doveva, tanto da meritare le maniere forti. A rendere nota la notizia in anteprima, ventiquattro ore prima della messa in onda della trasmissione, è stato il giornale online Fanpage che pare abbia avuto la notizia a caldo direttamente da Giletti che poi nel corso della giornata di ieri ha riferito in maniera più precisa quanto accaduto, il contesto e le dinamiche. Tutto ciò senza drammatizzare troppo, anzi, annunciando di non avere neppure intenzione di denunciare l’uomo che l’ha colpito. Una scelta per la quale l’ex conduttore di “Non è l’arena” è andato a ripescare le lezioni del suo maestro Giovanni Minoli, dal quale Massimo fu avviato alla professione giornalistica ai tempi di Mixer. «Sono un giornalista di strada, la mia passione è questa, sai che ti può succedere qualcosa. Uno deve saperle prendere e incassare i colpi.
Sono i rischi del mestiere del cronista che va a cercare determinate notizie con dei personaggi delicati e non abituati a rispondere alle domande vere e che possono avere un momento in cui reagiscono malamente» ha dichiarato.
Di Giletti – che può piacere o meno – non si può negare la vena di andare a scavare e approfondire in situazioni spesso molto al limite della legalità. Tutto ciò senza che si siano quasi mai levati cori di sdegno e difesa del lavoro di un cronista e della redazione di una trasmissione Rai che, non meno di altre – facendo entrambe giornalismo d’inchiesta – si prendono tutte le loro dosi di rischio. Ma è ormai chiaro che in questo Paese, anche a parità di condizioni, ci sono quelli considerati a prescindere martiri predestinati da canonizzare (fortunatamente) in vita e quelli che restano al massimo vittime di spiacevoli incidenti. Giletti, a differenza del collega
Sigfrido Ranucci per fare un nome Rai, appartiene sicuramente alla seconda schiera e non gode certo della simpatia di sindacati, associazioni per la libertà di stampa e influencer in perenne tenuta da assemblea permanente antimafia, antifascista, anti tutto. C’è stato ben modo di vederlo anche in occasione della mai ben spiegata cacciata da La7 (tv ovviamente considerata dalla sinistra presidio di democrazia e pluralismo a prescindere, quindi mai criticabile). Sicché si tenga pure i pugni in faccia che a ben vedere gli saranno valsi pure un punticino in più di audience.
Fatto sta che il buon Massimo ha già comunque annunciato di non voler mollare in alcun modo sul caso irrisolto da oltre 40 anni. Anzi ha spiegato meglio chi sia l’uomo che l’ha colpito. «Un ex dei servizi segreti, che ha fatto anche la legione straniera e credo sia stato anche tra i paracadutisti. Giovedì scorso, quando è stato ascoltato e interrogato da Andrea De Priamo, presidente della commissione Orlandi – ha detto all’Ansa il giornalista - ho provato a intervistarlo sulla vicenda. Sto seguendo infatti una pista che non è stata mai approfondita: il coinvolgimento dello zio Mario Meneguzzi nel rapimento di Emanuela Orlandi. Nel momento in cui l’ho incalzato per quattro, cinque minuti, chiedendogli come mai i servizi segreti avessero avvertito lo zio di Emanuela del fatto che era pedinato dalla polizia, lui ha perso la testa, si è girato e mi ha colpito con un pugno. Io, che sono alto e vaccinato, sono nato in strada e ho fatto parecchie battaglie da ragazzino, non mi sono spaventato e ho insistito. Quello che manca purtroppo nel filmato è una seconda parte, in cui mi ha colpito di nuovo violentemente mandandomi in mezzo alla strada: purtroppo ha colpito anche il telefono che è andato in tilt». Una brutta storia su cui fino alla tarda serata di ieri non si sono viste parole di solidarietà. Colpa, forse, del giorno festivo. O, più banalmente, di non lavorare per Report.