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Ue, ennesima grana: lo scudo anti-spread è una pistola scarica

di Michele Zaccardi lunedì 28 agosto 2023

3' di lettura

Certo, l’austerità. Ma anche lo scudo anti-spread. Tra le varie insidie che il ritorno del Patto di Stabilità porta con sé c’è pure quella di impedire alla Banca centrale europea di comprare il debito italiano in caso di tensioni sui mercati. Un’eventualità certo remota, almeno per il momento. Ma che non è escluso possa manifestarsi. E in caso di difficoltà, il nostro Paese rischia di non poter contare sull’ombrello della Bce, quel “Trasmission Protection Instrument” (Tpi) che Francoforte ha tirato fuori dal cilindro a giugno di un anno fa per limitare la forbice tra i rendimenti dei titoli emessi dai governi dell’Eurozona. L’obiettivo, insomma, è quello di sostenere gli Stati membri «che subiscono un deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali specifici del Paese».

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Il problema, però, è che per far scattare gli acquisti, potenzialmente illimitati, dei titoli pubblici con scadenza tra uno e dieci anni, bisogna rispettare una serie di requisiti molto stringenti. A cominciare da quelli sui conti. Poi, certo, la decisione di utilizzare o meno lo scudo anti-spred spetta, in modo discrezionale, alla Bce, che quindi potrebbe sempre scegliere di non ricorrere allo strumento. Sia chiaro: per mitigare la volatitlità, rimane in piedi fino alla fine del 2024 il reinvestimento flessibile per i titoli acquistati nell’ambito del Pepp pandemico, con cui Francoforte ha comprato 293,8 miliardi di Btp. Tuttavia, non è detto che ciò sia sufficiente.

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LE CONDIZIONI
E sta di fatto che il mancato raggiungimento di un accordo sulla riforma del Patto di Stabilità (i negoziati ripartiranno a metà settembre) renderebbe ancora più complicato per l’Italia osservare le condizioni previste per l’attivazione del Tpi. Innanzitutto, per ricevere il sostegno della Bce i Paesi non devono essere sottoposti a una procedura per disavanzi eccessivi. Procedura che potrebbe scattare nel 2024 sui bilanci del 2023 in caso di un deficit superiore al 3% del Prodotto interno lordo. E l’Italia, che dovrebbe chiudere l’anno in corso con un disavanzo del 4,5%, sarebbe tra gli inadempienti. La seconda condizione prevede che i Paesi non siano sottoposti a una procedura per squilibri macroeconomici eccessivi, identificati sulla base di 14 indicatori (come debito pubblico e tasso di disoccupazione). Anche in questo caso, pur non avendo ancora aperto una procedura, la Commissione ha riscontrato diversi squilibri a carico dell’Italia. Il terzo vincolo per attivare lo scudo riguarda la sostenibilità del debito pubblico, secondo una valutazione realizzata dalla stessa Bce.


Infine, oltre a rispettare gli impegni presi con il Pnrr, i Paesi devono adeguarsi alle “Raccomandazioni specifiche” indirizzate ai singoli Stati dalla Commissione. Sotto quest’ultimo punto, le indicazioni fornite da Bruxelles a maggio e approvate dal Consiglio Ue a luglio stabiliscono per l’Italia un miglioramento del saldo di bilancio strutturale (ovvero al netto del ciclo economico e delle misure una tantum) pari allo 0,7% del Pil. Nel Documento di Economia e Finanza di aprile, il governo ha fissato per il 2024 un aggiustamento dello 0,9%, garantendosi così un margine dello 0,2% (circa 4 miliardi di euro). Numeri che risultano dunque in linea con le prescrizioni europee ma che, se la crescita dell’ultima metà di quest’anno dovesse deludere, sarebbero fuori portata. Nel Def, infatti, si stima un incremento del Pil dell’1% per quest’anno e dell’1.5% per il prossimo: mancare il traguardo gonfierebbe inevitabilmente il deficit, sballando i saldi di finanza pubblica. E impedendo di accedere allo scudo anti-spread. Non solo. Le raccomandazioni su cui si basano questi numeri delineano una sorta di regime transitorio tra il vecchio Patto di Stabilità e la sua revisione e sono dunque più blande. In assenza di una riforma, però, tornerebbero in vigore le vecchie e più severe regole. 

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