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Tommaso Lorenzini: ammazzare un ciclista vale una pena di 4 anni

di Tommaso Lorenzini martedì 15 ottobre 2024

3' di lettura

La sensazione amara è che sia stata sprecata un’occasione. Condannare a soli quattro anni di reclusione Wolfgang Rieke, il camionista tedesco di 62 anni che il 30 novembre 2022 a Montebello Vicentino aveva travolto e ucciso l’ex campione di ciclismo Davide Rebellin, non può far scrivere né pronunciare a nessuno il fatidico e a lungo reclamato “giustizia è fatta”. No, chi magari oggi sarà andato al cimitero di Madonna di Lonigo, oppure in quella rotatoria di Montebello Vicentino per portare un fiore o trattenere una lacrima, scuoterà la testa.

Una sentenza che poteva far scuola, essere di esempio, avere la presunzione di poter diventare deterrente per quantomeno ridurre la possibilità di “un altro caso Rebellin” finirà annegata nei libroni dei tribunali, nei casellari giudiziari assumendo i grigi connotati di un qualunque fatto di cronaca. “Omicidio stradale aggravato dalla fuga” era l’accusa a carico del tedesco: il pubblico ministero Hans Roderich Blattner aveva chiesto la pena di cinque anni di reclusione. A dicembre dello scorso anno, in sede di udienza preliminare, il giudice aveva respinto la richiesta degli avvocati della difesa di patteggiare 3 anni e 11 mesi.

Sembrava il preludio alla volontà di mettere un punto fermo sulla tremenda questione dei ciclisti investiti e uccisi sulle strade italiane, in media uno ogni 30 ore; qualcuno sperava che quell’aula di tribunale sarebbe stata usata per comunicare un messaggio importante agli utenti della strada, sia quelli al volante di veicoli a motore, sia i ciclisti, sia i guidatori di monopattini: al di là del Codice della Strada, prendere coscienza e rispettare chi ci sta intorno, riconoscere che un mezzo come la bicicletta è “anello debole” e ogni incidente può avere conseguenze fatali. Detto di non toccare nulla perché erano in arrivo i soccorsi.

Il panico del momento avrebbe potuto spiegare la reazione istintiva di andarsene, l’autotrasportatore però era sgommato via dopo una decina di minuti, non per un gesto impulsivo: fece perdere le sue tracce e continuò il suo viaggio in Germania seguendo la tabella di lavoro. Come nulla fosse accaduto. Tanto che la Procura di Vicenza chiese al giudice per le indagini preliminari di emettere un mandato di arresto europeo, sulla base del quale l’uomo venne poi individuato e identificato (tre giorni dopo), rintracciato a Münster ed emesso il mandato di custodia cautelare.

Il tutto grazie all’utilizzo delle registrazioni delle telecamere poste attorno alla zona della tragedia e anche al filmato girato da un testimone. Il 31 agosto 2023, Rieke - che in passato in Italia si era già macchiato del reato di omissione di soccorso - previa intese tra Procura, Carabinieri e i difensori - si è presentato ai fini dell’esecuzione della misura di arresto emessa in precedenza dal Gip di Vicenza. Otto mesi è rimasto in carcere, dal quale poi è stato trasferito ai domiciliari dopo aver patito un ictus proprio qualche giorno prima della celebrazione della prima udienza del processo (e viste le sue gravi condizioni si trova adesso ricoverato in un ospedale tedesco). Si sarebbe mai consegnato, se non fosse stato inseguito, braccato e finalmente identificato? È logico condannare a soli quattro anni qualcuno che, dopo ave rilasciato un cadavere per strada, nel tentativo di non essere individuato percorre strade di campagna fino in Germania dove poi si nasconde sperando di farla franca?

La madre di Davide, Brigida, che non è voluta entrare nelmerito della sentenza, si è limitata a prendere dolorosamente atto che «mio figlio purtroppo l’ho perso per sempre, non c’è più», mentre Alessio Rossato, il consulente di Vicenza di Studio3A-Valore S.p.A., che ha assistito e seguito fin dall’inizio tutta la famiglia, compresa la moglie Francoise Marie, assieme all’avvocato Davide Picco, ha spiegato che «siamo moderatamente soddisfatti per l’entità della pena inflitta, considerate le leggi sull’omicidio stradale. La Procura di Vicenza ha svolto un importante lavoro e l’imputato ha fatto anche otto mesi di carcere, evento molto raro in queste circostanze». C’è da riflettere.

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