L'ultima stangata del governo in coma

Il bluff del decreto sviluppo:altro che aiuti, son più tasse

Andrea Tempestini

Sembrano due testi talmente diversi da non appartenere alla stessa proposta di legge. La fregatura del decreto sviluppo è proprio lì: nella differenza abissale che c’è fra la relazione illustrativa compilata dagli uffici del ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, e la relazione tecnica scritta dalla Ragioneria generale di Mario Canzio. La relazione illustrativa di Passera è tutta uno spot, scoppiettante, grandiosa, immaginifica. Quella di Canzio ridotta all’osso, con i piedi per terra, per riportare tutti ai fatti.  E i fatti raccontati da Canzio sono semplici: non ci sono euro per la crescita e lo sviluppo. Non sono usciti fuori dalla spending review, solo strombazzata ma non ancora in vigore. Per questo ciò che è stato messo in campo per aiutare le imprese e i cittadini a riprendersi è poco più di qualche spicciolo.  Canzio è freddo, ma preciso: 104,7 milioni nel 2012, 89,6 milioni nel 2013 e in tutto 435,2 milioni di euro nel triennio di bilancio in corso. La finanza pubblica si considera con un minimo di attendibilità su base triennale, poi alcune norme - anche in questo decreto - hanno impatto pluriennale perché diventano permanenti. In cinque anni il decreto sviluppo mette in campo un miliardo e 191 milioni di euro, in dieci anni si arriva a 3 miliardi e 163 milioni di euro, e siccome alla fine ci sarà una spesa permanente di 86,5 milioni di euro l’anno, come spiegato ieri su Libero per arrivare agli 80 miliardi di euro pomposamente annunciati da Monti e Passera venerdì bisognerà fare trascorrere 896 anni.  Per capire i linguaggi dei due, quello spot di Passera e quello della realtà parlato da Canzio, basta guardare l’articolo 18, che è poca cosa e c’entra nulla con il decreto. Si tratta della lodevole intenzione di rendere trasparenti tutte le spese della pubblica amministrazione al di sopra dei mille euro. C’entra nulla con lo sviluppo, anche se ieri il Sole 24 Ore che non osa criticare nemmeno un comma prodotto da palazzo Chigi e dintorni, è riuscito grottescamente a segnalare che la decisione ha un «basso impatto» sulla crescita. Anche un bimbo capisce che l’impatto non è basso, è zero. Proprio non c’entra nulla. Ma siccome Passera deve vendere la merce che ha nel sacco al meglio, e questo è quel che passa il convento, impiega ben quattro pagine scritte fitte fitte a lodarsi per la coraggiosa decisione. Aria strafritta, frasi di banalità sconcertante come «la più efficiente ed efficace razionalizzazione delle comunicazioni della P.A. consente di usare i dati e le informazioni raccolte per valutare e definire politiche pubbliche, economiche ed industriali mirate su una base di conoscenza oggettiva dei fenomeni». Risparmio altre amenità simili, ma traduco quel che significa questa frase: metto l’obbligo di legge di inserire sul sito Internet tutti i soldi che lo Stato distribuisce a pioggia con incentivi. Siccome io non sono riuscito a sapere quanti sono, se rispettano la norma io me li leggo sul sito e così mi faccio un’idea di quanti soldi ci sono e posso inventarmi altre acrobazie legislative. Le quattro pagine di filosofia di Passera diventano mezza riga nella relazione di Canzio: la gelida considerazione su «la norma non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».  Ecco, teniamo la linea Canzio, così si capisce il bluff del decreto. Cominciamo con i project bond: soldi nuovi messi in campo, zero. Andiamo all’articolo 2, sulla strombazzata defiscalizzazione per investire nelle infrastrutture: «La disposizione determina nuove entrate fiscali e la destinazione di parte di esse al soggetto privato non influisce sui tendenziali già scontati a legislazione vigente nel bilancio dello Stato». Traduzione: non è un aiuto dello Stato alle imprese, ma è l’esatto contrario, più tasse da incassare. Articolo 10, sulla esenzione dell’Imu per le case dei costruttori invendute nei primi tre anni: vale 35,1 milioni di euro. Articolo 11, sulle ristrutturazioni edilizie e per efficientamento energetico. Qui c’è un tranello: aumentano le detrazioni, ma aumentano gli incassi Iva, Irpef, Ires e Irap. Nel 2012 vince lo Stato: incassa 13,7 milioni di euro in più. Nel 2013 è quasi parità: lo Stato ci perde un nulla: 3,1 milioni di euro: È solo dal 2015 in poi che l’intervento diventa consistente per i cittadini e le imprese. L’articolo 14 stanzia 70 milioni di euro per i porti italiani. Canzio rivela però che analoga cifra- 70 milioni di euro - è tolta alle ferrovie in concessione governativa. Il costo quindi è zero. Per altro l’articolo successivo, il 15, definanzia le infrastrutture portuali e secondo Canzio recupera alle finanze dello Stato 115 milioni di euro. Degli altri 61 articoli 25 non comportano nessuna spesa dello Stato, 22 recuperano addirittura risorse al bilancio dello Stato, due addirittura inaspriscono il carico fiscale sulle imprese (come nell’estrazione di gas e olii, che garantiscono subito almeno 39 milioni di euro di maggiori tasse), 13 spostano risorse da un capitolo all’altro del bilancio dello Stato senza mettere un centesimo in più di prima. Solo uno assegna risorse in più: quello che ricapitalizza imprese dissestate come quelle della navigazione sul lago di Como, dove la famiglia Passera esercita la sua attività. Senza quello, nel 2012 e nel 2013 il decreto sviluppo è più quel che incassa con nuove tasse di quel che regala a imprese e cittadini.   di Franco Bechis