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Berlusconi: l'uscita dall'euro non è una bestemmia

Eliana Giusto
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  L'altra volta era stata presentata come la «pazza idea». Adesso, secondo Silvio Berlusconi,  l'uscita dall'euro «non è una bestemmia». Il 15 luglio sarà una cosa seria, visto che, per studiare il ritorno alla lira, l'ex premier ha convocato una riunione nella sede dell'Università delle libertà «con il professor Antonio Martino e alcuni “Premi Nobel”». È chiaro che il comunicatore  vuole arrivarci per gradi. Qualche settimana fa ha lanciato il tema antieuropeista come un sasso in una vetrata, chiudendo la polemica  con una precisazione: erano discorsi iperbolici, niente di serio. Invece: ieri, intervenendo alla presentazione del libro di Gianstefano Frigerio, il  Cavaliere è tornato sull'argomento. Stavolta meno follia e più sostanza: «Non credo che sia una bestemmia l'ipotesi che l'Italia esca dall'euro e torni alla propria moneta», irrompe l'uomo di Arcore mentre nell'auletta di via Campo Marzio si parla di George W. Bush e Barack Obama.  Rigidità teutonica La precondizione è che le istituzioni comunitarie non rimuovano i fattori di debolezza della moneta unica. Il fatto che «l'euro non abbia alle spalle una Banca centrale europea che faccia la banca di garanza ed emetta valuta». Soprattutto, il problema è la rigidità teutonica: «La Germania deve convincersi ad avere una Bce con poteri», altrimenti l'alternativa è che «gli Stati tornino alla propria moneta nazionale». Anche a Berlino sarebbero d'accordo, assicura il Cavaliere rivelando di «aver parlato con alcuni esperti tedeschi». Le conseguenze? Anche vantaggiose, secondo Silvio: «Da quando c'è l'euro non ci sono più le svalutazioni mentre avere una propria moneta consente con una svalutazione competitiva di aumentare le esportazioni e non ci sarebbero ripercussioni sul mercato interno». Berlusconi ammette comunque di non sapere cosa potrebbe succedere in Italia dicendo addio all'euro: «Da noi o in Spagna o in Grecia può darsi che ci possa essere una perdita di ricchezza ma io non arrivo a capirlo», perché «l'80 per cento delle famiglie italiane ha una casa di proprietà e non credo che questa possa subire una perdita di valore perché stiamo parlando del valore interno». In ogni caso l'inflazione non deve spaventare, Berlusconi torna alla memoria agli anni Ottanta, il decennio in cui lui ha fatto la sua fortuna: «Avevamo un costo del denaro a due cifre ma ci sono stati aumenti di consumi e la disoccupazione era al minimo».  Tema per campagna elettorale Ma, al di là dell'orgoglio yuppie, è chiaro che Berlusconi ha trovato il suo tema per la campagna elettorale. Battage che rischia di cominciare prima del previsto, con buona pace delle colombe (Frattini in primis) che provano a proporre al Cavaliere un nuovo “patto europeo” da proporre al premier. Silvio conta i giorni che intende offrire a Mario Monti per mostrare uno scatto di reni. «Questa è l'ultima occasione che diamo a Monti», frase già sentita in passato. Ma stavolta, giurano a Palazzo Grazioli, è un ultimatum vero. Fiducia al governo fino al vertice europeo di fine mese. Poi, se il Professore dovesse tornare a mani vuote, ecco la motivazione per staccare la spina: i tecnici si fanno imporre le scelte da Berlino. «A luglio decideremo se aprire la crisi di governo», ha annuciato il Cavaliere ai dirigenti del Pdl ricevuti martedì sera a via del Plebiscito, usando toni molto duri per definire le incapacità dei suoi successori a Palazzo Chigi. L'alternativa è una “verifica”, alchimia tipica da Prima Repubblica con cui i partiti di maggioranza rinegoziavano col governo programma e squadra. E l'ipotesi che gira, non nuova, è quella di un innesto politico nell'esecutivo dei professori, in modo da avere più peso nella fase decisionale del governo. Gira in ambienti del Pdl, il Pd e l'Udc non ne vogliono sentir parlare.  I timori del Cav   L'unico freno vero alla crisi sono le aziende: Berlusconi teme che il voto anticipato renda ancora più difficile la vita all'economia italiana e, in particolare, al suo gruppo. Riflessione, dunque. E anche se in un'intervista con il Wall Street Journal Silvio minimizza («L'uscita dall'euro è una provocazione»), sono già chiari i contorni del nuovo progetto: un partito no-euro che raccolga paure e dissenso degli elettori. Altro che unità dei moderati. Non a caso, Casini lo invita a fare le valigie: «Se la linea di Berlusconi sull'euro è questa, lasci il Ppe». di Salvatore Dama  

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