L'esordio come giornalista

Buontempo: "Gianfrancoha lavorato solo due anni"

Matteo Legnani

di Barbara Romano Le nuances delle cravatte forse viravano un po’ meno sul rosa confetto, ma il look di Gianfranco Fini quando faceva il redattore ordinario al Secolo d’Italia, era grosso modo uguale a quello di oggi che è presidente della Camera. «Sembrava un impiegato del catasto», racconta Teodoro Buontempo, suo collega di giornale e di palazzo per una vita e oggi  presidente della Destra fondata da Storace. Ma era il capo della cronaca di Roma nella Pravda del Msi quando Fini faceva il redattore al politico sotto il pugno di ferro di Cesare Mantovani, allora vicedirettore. Correva l’anno 1977. L’astro nascente dei missini fu assunto al Secolo (come tutti) dal leader del Msi Giorgio Almirante, ma nel frattempo fu anche eletto segretario del Fronte della gioventù. Cominciò a fare il giornalista cucinando pastoni. Una carriera fulminea e brevissima. Due anni dopo già era il notista politico del Secolo, assieme al futuro direttore di Raiuno Mauro Mazza. Ma quando divenne professionista, nel 1980, in redazione Fini non si vedeva praticamente più, del tutto assorbito com’era dagli impegni politici di dirigente giovanile. Il rapporto già molto diradato col quotidiano si interruppe del tutto nel 1983, quando Fini prese l’aspettativa perché fu eletto deputato. Quindi il futuro leader di An, delfino eterno del Pdl e poi fondatore di Fli, ha fatto il “culo di pietra” in redazione per due anni, giorno più, giorno meno. Normale che, come confidano alcuni reduci del Secolo, «non si è stracciato le vesti quando se n’è andato». Anzi, a sentire le lingue biforcute ex missine, «Fini al giornale non c’è mai stato». Di più: «Non ricordo di averlo mai visto a una riunione o a un’assemblea di redazione». Noia da routine di lavoro? O ambizione di chi guardava già ai piani alti del partito? Una cosa è certa, a detta di Buontempo: «Fini non aveva entusiasmi particolari. Arrivava in redazione come se andasse in ufficio, svolgeva il compito che gli veniva assegnato e se ne andava. Insomma», commenta “Er Pecora”, «non ha mai avuto il sacro fuoco». A sentire il numero due della Destra, neppure al Fronte della gioventù: «Lì si occupava diligentemente dei giornaletti delle scuole di Roma». E chissà se nel 1977 la giovane promessa della destra almirantiana immaginava che trentacinque anni dopo avrebbe tenuto una lectio magistralis a Trento su Alcide De Gasperi… Qualche sintomo della sua indole democristiana, in Fini si faceva sentire già allora, se è vero, come racconta Buontempo che «Gianfranco era l’unico al Secolo a non aver mai litigato con Mantovani, che pure aveva il suo bel caratterino. Ma lui era fatto così: privo di contrasti come di entusiasmi». La proverbiale freddezza di Fini traspariva anche nel suo Lebole total look. «Si presentava in redazione sempre con la sua ventiquattrore, un abito da borghese medio e la cravatta», ricorda Buontempo, «era difficile che venisse al giornale in jeans e maglione». La sola passione che sembrava accendergli il cuore a venticinque anni era il calcio. Anche se la maglia che indossava in campo gli è rimasta cucita addosso: una vita da mediano.