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La critica interna: "Il Pdl non ha più ambizioni, è in corsa per perdere"

L'onorevole azzurro: "Quanto sta accadendo è surreale, quello della ricandidatura di Berlusconi è uno psicodramma"

Giulio Bucchi
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di Gennaro Malgieri È francamente surreale quel che accade nel Pdl. O, sarebbe meglio dire, il vistoso nulla che segna questa fase della vita apparente del partito. Mentre a sinistra si scannano sulle alleanze, il Pd è nel marasma più completo e la sua classe dirigente di fatto è già rottamata da un giovanotto di belle speranze, i centristi, che molto si agitano, navigano verso un complessivo 8% del quale il 5 è proprietà di Casini, il partito del Cavaliere che fa? Attende. E l'attesa lo sta logorando, sfinendo, sfilacciando. Aspetta che Berlusconi sciolga la riserva una volta per tutte. Non è bastata l'estate per farlo decidere, non sono serviti gli appelli accorati (ed un po' comici) dei suoi colonnelli affinché ridiscenda in campo, non lo hanno smosso i disastrosi sondaggi che danno il Pdl inchiodato al 18-20% anche se lui stesso dovesse candidarsi. Ma candidarsi a che cosa? Se, come sembra, la legge elettorale in gestazione abrogherà il flebile maggioritario e si porterà via il bipolarismo insieme con l'indicazione del premier e la scelta della coalizione di governo da parte dei cittadini, a che cosa Berlusconi dovrebbe candidarsi, a fare il capolista in qualche circoscrizione? Suvvia, siamo seri. Il Cavaliere sarà costretto a correre pur sapendo di perdere se la legge elettorale rimarrà sostanzialmente immutata. Al contrario, non c'è nessun bisogno che l'aspettativa si tramuti, come sta avvenendo, in una sorta di psico-dramma. A lui non ci sono alternative. Aveva provato a crearle, senza crederci fino in fondo come i fatti si sono incaricati di dimostrare, ma poi si è ripreso la scena ribadendo che la leadership, l'essenza, l'anima, l'identità e l'immagine del Pdl sono elementi consustanziali alla sua personalità carismatica (per quanto appannata).  Senza di lui, come a tutti dovrebbe essere chiaro, il Pdl non esiste e non soltanto perché lo ha ideato e costruito a propria immagine e somiglianza, ma per non aver favorito la crescita e lo sviluppo di una classe dirigente dalla quale attingere nuovi leader per un movimento che avrebbe dovuto avere le ambizioni di guardare al futuro nutrendosi di pensieri lunghi e proiettandosi in una dimensione globale tale da trascendere (senza trascurarla, ovviamente) la politichetta che si pratica nel nostro Paese. Aver inserito numerosi elementi giovani e privi di esperienza nel suo esecutivo (alcuni dei quali si sono comportati egregiamente), non ha niente a che fare la composizione di un gruppo dirigente che nasce da altre dinamiche. La conseguenza è che dopo vent'anni circa di presenza attiva e costante sulla scena, Berlusconi si trova a fare i conti con la successione a se stesso e non trova altri che se stesso, alla tenera età di settantasei anni quando tutti i leader occidentali che ancora dovevano apparire all'orizzonte nel momento in cui lui sfasciò la gioiosa macchina da guerra dei post-comunisti si sono già ritirati, ma continuano comunque ad occuparsi di politica, ad altissimo livello peraltro, come Blair, Clinton, Aznar presenti in maniera diversa nel dibattito internazionale sui grandi temi del nostro tempo. Ma anche restando nel recinto di casa nostra, non vi sembra a dir poco incongruo che chi è stato presidente del Consiglio per tre volte in diciotto anni, segnando indubbiamente il nostro tempo e contribuendo, quale che sia il giudizio su di lui, alla modernizzazione del sistema politico in senso bipolare (paradossale alla fine del percorso la sua conversione  al proporzionalismo), oggi sia alle prese con il dilemma se ricandidarsi o meno alla guida del centrodestra posto che un tale ruolo, meramente formale nelle attuali contingenze, moralmente e psicologicamente non gli verrebbe contestato da nessuno se anche decidesse di fare il padre nobile del partito? Ciò che non convince nel travaglio del Pdl è l'assenza di una qualsivoglia discussione sul suo futuro e di quello che inevitabilmente dopo le elezioni diventerà: tutto è fermo sulla decisione/indecisione di Berlusconi, mentre altrove, sia pure drammaticamente, si tenta di guardare al di là degli steccati che bloccano la politica al fine di superare l'impasse attuale e porre le basi per la ricostruzione di una forza che sappia attrarre domani masse di elettori mossi da qualche motivazione non effimera. Scriveva Simone Weil, nel suo scintillante e provocatorio saggetto Manifesto per la soppressione dei partiti politici, che «un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva... un'organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte». Non so se i rottamatori del Pd la pensino alla stessa maniera e cerchino di sollevare il loro movimento dalla polvere nel quale è caduto. Ma ricordo benissimo che il Berlusconi del 1994 riusciva magnificamente a «fabbricare» quella passione collettiva indispensabile per rinnovare un Paese. Possibile che si sia ridotto a passare le sue notti ed i suoi giorni assediato dall'incertezza sull'opportunità o meno di annunciare la «discesa in campo» nel corso di una festa politica giovanile?

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