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Maiali, ancelle e gladiatori: la festa da fine impero del Pdl

Il racconto del party di due anni fa al Foro Italico (in cui c'era anche Reanta Polverini)

Andrea Tempestini
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di Marco Gorra L'uomo ricco di astuzie raccontami, o Musa, che a lungo errò. Complice la polisemia, il corto circuito tra il Laertide Odisseo e Carlo De Romanis si fa totale. Ed aggiunge suggestioni ad una vicenda che pure non ne era avara. Il contesto è noto: il De Romanis, consigliere regionale del Pdl di rito forzista ortodosso, gode da qualche giorno di meritata fama in quanto organizzatore dell'ormai arcinota mega-festa a tema omerico “Olympus”, tenutasi un paio d'anni or sono al Foro Italico di Roma con parecchi politici d'area (da Renata Polverini in giù) tra gli invitati. Roba di cui l'universo mondo si era misericordiosamente dimenticato e di cui restava traccia in qualche bacheca di Facebook. E però roba che, sulla scia del grandissimo casino seguito all'esplodere del caso Fiorito, d'un tratto è riafforata in superficie con tutto il cotè di polemiche sullo sperpero del denaro del contribuente, i politici magnoni e la casta che fa festa mentre la gente tira la cinghia.  Ora, il punto non è con quali soldi sia stata finanziata la festa in questione: De Romanis giura che il tutto sia stato organizzato con denaro proprio e fino a prova contraria le sue parole sono fededegne. Il punto è che il solo fatto che una roba del genere sia successa e che ne sussistano le evidenze rappresenta un colpo mortale a quello straccio di credibilità di cui la politica è ancora titolare. Un colpo al cui confronto non c'è caso giudiziario che tenga. Perché uno può tagliarsi i rimborsi, dimezzare gli eletti, promuovere il rinnovamento, aprirsi alla società civile, fare le primarie persino. Ma di fronte alle foto della festa “Olympus” tutto viene spazzato via e tutto viene superato in tromba. Se l'idea stessa di non redimibilità della politica in quanto tale aveva bisogno di uno spot, ebbene il festone chez  De Romanis ha provveduto all'uopo come nemmeno l'opera omnia di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Detto con estrema e brutale semplicità: le foto di quella festa rappresentano, quanto a fauna, il peggio che la capitale d'Italia può offrire. L'innata burinaggine dei nipotini del palazzinaro di C'eravamo tanto amati (quello che fa calare dalla gru la porchetta extralarge bardata nel Tricolore mentre la banda strombetta l'inno di Mameli) mischiata a quell'insopportabile allure pariolino che da un paio di generazioni almeno fa sì che i rampolli della Roma bene si presentino come delle fastidiose incarnazioni del figlio di papà tutto scuole private e vacanze chic come nemmeno le macchiette dei cumenda milanesi.  Tutta gente che, conseguentemente, sta a Omero come Ultimo tango a Zagarol sta a Marlon Brando. Per rendersene conto basta andarsi a riguardare l'invito - che alcuni maligni conservarono con ammirevole lungimiranza e che oggi fanno girare con altrettanto ammirevole perfidia - dell'happening fatale. La foto pare presa dal set di un porno-sandalone: vi si vedono piacenti giovani ambosessi (poco) vestiti in toghe, armature e altra paccottiglia classicheggiante sulla scalinata di una specie di Partenone tra grappoli d'uva, archi e una immotivata mitragliatrice. Sotto, un testo in cui si fa presente che le divinità tutte (alcune indicate col nome greco e altre con quello latino, si suppone per la par condicio) invitano il fortunato destinatario a non perdersi l'evento. Queste le premesse, che alla festa si voli alto è scontato. E allora via con la gente travestita da maiale (c'entra la maga Circe e, si spera, non altro); via con le fanciulle che, nell'impossibilità di farsi immortalare mentre bevono a garganella dalla bottiglia come nelle feste ordinarie, soccorrono attaccandosi alla giara; via con un gruppetto di improbabili Nereidi che ballano in piscina sotto la direzione di un Poseidone munito di tridente di plastica; via - insomma - con una roba terrificante che potrebbe essere un ibrido a metà tra i toga party di Animal house e una riedizione lisergica del Satyricon di Fellini. Lui, il De Romanis, in quanto dominus della situazione vestiva i panni di Odisseo, con tanto di armatura che pare sputata a quella indossata da Brad Pitt-Achille nello sciagurato Troy (che, a giudicare dai risultati, pare essere stato il modello filologico cui gli organizzatori devono essersi ispirati). «Ho sempre dato feste in costume», dice oggi, e pare non rendersi conto del clamoroso danno d'immagine cagionato dalla baracconata di cui sopra alla parte politica cui appartiene. Restano agli atti le foto, e la fortissima impressione di fine impero che trasmettono. Agi e crapule di una classe dirigente che, incurante dei barbari alle porte, si trastulla a bordo piscina con la vodka nell'anfora e il costume da divinità dell'Olimpo. Il tutto aggravato dal fatto che a bere quella vodka e a mettersi quei costumi sarebbe gente di destra. Ossia gente che, pure con tutti i difetti di questo mondo, a indulgere in certe mollezze aveva sempre avuto un certo ritegno. Tutti finiti a fare il bagno di mezzanotte giocando ai piccoli Odisseo in una piccola Itaca traslocata sotto Monte Mario. E senza nemmeno uno Storace a urlargli: «A proci!».

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