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Renzi rottama Bersani in diretta tvMatteo vince il duello per ko

Il sindaco al rivale: "sei stato al governo 2547 giorni, la vostra politica è stata un fallimento". Lui arranca: nessuno è perfetto

Lucia Esposito
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  di Elisa Calessi  Il tempo del fair play è finito. «È stato Pier Luigi a cambiare i toni. Io mi sono solo adeguato». La tregua si è rotta con la chiusura sulle regole, con certe battute fatte dal segretario del Pd in questi giorni. Per questo Matteo Renzi, ieri sera, nel faccia a faccia su Rai uno, ha deciso di giocare duro. All'attacco. Rottamando, per la prima volta, direttamente lui: il segretario del Pd. Perché mancano tre giorni. «Ho già dimostrato che sono leale e non uno sfasciapartito, ora basta», ha detto i suoi.  Studio circolare, ciascun candidato davanti al podio. La conduttrice, Monica Maggioni, di fronte. Bersani sceglie la mîse dell'altra volta: completo blu e cravatta rossa. Il sindaco, già qui, marca la differenza: camicia bianca, cravatta blu. Si parte dalla crisi. Per Renzi bisogna «rimettere in tasca i soldi al ceto medio». Bersani stenta. «Io non prometto 20 miliardi. Ma penso si debba fare qualcosa». Ripete tante volte, troppe, l'impreciso «un po'». Ma è sulle tasse che Renzi lancia il primo affondo. Bersani rispolvera il ritornello della lotta all'evasione fiscale. «Non dobbiamo inventare l'acqua calda.». Renzi: «Io avevo i calzoni corti quando si parlava di evasione fiscale. Perché non si è fatto niente?». Gli strumenti inventati, vedi Equitalia, non vanno bene. Bersani: «Non l'ho inventata io». Renzi: «Ma i poteri glieli avete dati tu e Visco. E tu sei stato al governo 2547 giorni». Bersani: «Hai pazienza ad averli contati tutti...». Renzi tira fuori l'Iphone: «Basta questo». Lo schema passato/futuro è plasticamente ritratto. Persino sulla crisi in Medio Oriente, il sindaco mette in difficoltà il segretario. Se per questo è centrale il conflitto israelo-palestinese, per Renzi «l'area centrale è l'Iran, bisogna ascoltare il grido dei ragazzi dell'onda verde». Il sindaco è veloce. Usa tutto il tempo a sua disposizione. Bersani no. Appare stanco. Innervosito. Sull'industria, si arena in una serie di domande: «È il caso di vendere l'Ansaldo? La Fiat ce la fa da sola? E la chimica verde? Sì l'Ilva, ma Piombino?». Renzi lo inchioda: «Il punto è che la politica industriale degli ultimi venti anni non è stata all'altezza». Dove il plurale è rivolto a Bersani ministro in più governi del centrosinistra. Il segretario, imbronciato, coglie il riferimento. E, sbagliando, ammette: «Nessuno è perfetto». Sui finanziamenti ai partiti Renzi ricorda la legge con cui Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds, voleva aumentare i soldi alle fondazioni. Bersani cita Pericle, Atene e poi: «Non mi rassegno al fatto che la politica sia fatta sola dai ricchi». Renzi: «Va bene, ma da Pericle a Fiorito ce ne passa».      Anche sul conflitto di interesse, Bersani è in difesa. «È vero, non aver fatto un sistema anti-trust nella comunicazione è stato un limite». Renzi: «Il problema è che non abbiamo fatto il conflitto di interessi. E non l'abbiamo fatto quando eravamo al governo». Quando tu eri al governo. Sulle pensioni, Renzi rimprovera al segretario l'abolizione dello scalone fatta dal secondo governo Prodi (Bersani ministro). Il segretario:  «Matteo, su questo, devi approfondire un po'».  Scuola: «La riforma Berlinguer di sinistra aveva solo il nome», attacca Renzi. E sulle alleanze, citando Vendola che, a proposito delle parole del segretario, aveva parlato di «profumo di sinistra», dice che il patto con Casini è «un profumo di inciucio». Bersani: «L'ultima volta che abbiamo voluto fare tutto da soli ha vinto Berlusconi». Renzi: «Ma così rischiamo di fare la fine dell'Unione». La sinistra di Vendola, gli ricorda, ha fatto cadere Prodi per mandare al governo «l'inciucio Mastella-D'Alema». Bersani si arrabbia, punta l'indice: «Nell'Unione erano 12 partiti e non c'era il Pd!». Ma lo schema renziano funziona: se volete il passato, lo status quo, votate lui, se il futuro, il cambiamento, votate me.  Sulle liberalizzazioni, Renzi concede un gol all'avversario: quelle fatte da Bersani sono state «un passo avanti». Ma subito ritorna in vantaggio. Quando è il momento delle domande dei supporter, presenta la sua per nome: «Si chiama Anna», dice, presentando la ragazza che si rivolgerà a Bersani. «Poi mi dirai come si chiama la sua». Peccato che il segretario non sa il nome della sua. Il duello scivola verso la fine. «Ci hanno dipinto come lo zio prudente contro il figlio coraggioso», fa Renzi, inchiodando l'avversario a quell'immagine. «Non possiamo andare nel futuro con le persone che ci hanno portato fin qui».  Bersani ripete che «la ruota va fatta girare ma non bisogna buttar via l'esperienza». A chi vogliono chiedere scusa? Il segretario cita moglie, figlie e il parroco «per quando uscì sui giornali lo sciopero dei chierichetti che feci da bambino». Altro gol di Renzi: «Meno male che è l'ultimo confronto perché tra il Papa e il parroco...». Lui, invece, chiede scusa al fratello laureato in medicina e andato a lavorare all'estero per non essere considerato favorito in quanto fratello del sindaco. Nell'appello fiale, Renzi invita a votare per «cambiare sul serio». Bersani una bambina che per Natale chiede «una bambola e lo stipendio della mamma». Ma il bilancio è netto. Stravince il sindaco. Bersani demolito, più che rottamato.  

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