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Trattativa Stato-MafiaIl processo resta a Palermo

E' attesa la sentenza della Corte Costituzionale sulle intercettazioni dei Pm al presidente della Repubblica

Nicoletta Orlandi Posti
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  Possono i pm intercettare il presidente della Repubblica? Dopo mesi di polemiche politiche la Corte costuzionale darà il suo parere. La Consulta ha infatto iniziato l'udienza su lconflitto sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo relativo alle intercettazioni indirette che coinvolgono Giorgio Napolitano, disposte nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. Il nodo da sciogliere per i giudici della Consulta è quello dell'intercettabilità del capo dello Stato: nell'inchiesta condotta dalla Procura di Palermo, vi sono infatti quattro intercettazioni di conversazioni avvenute tra Napolitano e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, coinvolto nell'indagine. Il processo resta a Palermo - Mentre si attende la decisione della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzione, c'è stata però la decisione del Gup Piergiorgio Morosini che mantiene il procedimento a Palermo. Nell'aula della Corte di Assise del capoluogo siciliano, il Gup ha letto l'ordinanza con la quale ha rigettato tutte le eccezioni di incompetenza territoriale presentate dai difensori di 10 dei 12 imputati. In particolare, per quanto riguarda gli ex ministri democristiani Calogero Mannino e Nicola Mancino, il Gup ha stabilito la competenza del giudice ordinario di Palermo. I legali dei due imputati avevano invece proposto la competenza del foro di Roma, o del Tribunale dei ministri, della Capitale o dello stesso capoluogo siciliano. Il Gup ha però ritenuto che nessuno dei due sia accusato di avere commesso il reato con riferimento alle funzioni ministeriali: Mannino e Mancino non erano membri del governo all'epoca dei fatti contestati. Peraltro, Mancino, ex ministro dell'Interno, risponde solo di falsa testimonianza, reato che secondo la Procura sarebbe stato commesso il 25 febbraio scorso a Palermo. Più in generale, secondo il Gup, in generale, la "connessione teleologica" fra l'omicidio dell'eurodeputato della Dc e leader della corrente andreottiana a Palermo, Salvo Lima, primo atto della strategia di attacco allo Stato e reato più grave fra quelli contestati a vario titolo, e la successiva "violenza o minaccia" agli organi istituzionali, giustifica la permanenza dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia a Palermo. Le arringhe dell'Avvocatura e della Procura - Intanto a Roma il professor Alessandro Pace, che davanti alla Corte Costituzionale rappresenta la Procura di Palermo, nell'ambito del conflitto sollevato dal Quirinale contro i magistrati siciliani, ha sostenuto che una "soluzione lineare" della questione relativa alle intercettazioni che coinvolgono il capo dello Stato "sarebbe il ricorso al segreto di Stato". Secondo Pace, "il Presidente della Repubblica potrebbe chiedere al Presidente del Consiglio, dopo avergli illustrato i contenuti delle conversazioni intercettate, di valutare se ricorrano i presupposti previsti dalla legge sul segreto di Stato. Questa via potrebbe consentire la salvaguardia della riservatezza delle conversazioni del Capo dello Stato". Da parte sua l'Avvocatura ha chiesto alla Consulta di distruggere le conversazioni. Per l'avvocato generale dello Stato, Michele Dipace, che sostituisce Ignazio Caramazza, in pensione dal 1 ottobre scorso, nella difesa delle posizioni del Quirinale, "le intercettazioni telefoniche non devono entrare nel processo penale e non possono essere oggetto di alcuna valutazione: sono inutilizzabili e devono essere distrutte, senza un contraddittorio sul loro contenuto ma soltanto sul fatto storico della loro esistenza, senza doverne esaminare la rilevanza proprio perchè del tutto inutilizzabili”.  

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