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Bersani giura fedeltà a MontiUn bluff: spera che il Cavlo faccia cadere subito

Bersani e Monti

Ignazio Stagno
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  di Brunella Bolloli È il Pd per primo a decretare la fine del governo Monti. «Non c'è più la maggioranza, quindi è meglio che il premier vada al Quirinale per consigliarsi con il presidente della Repubblica», ha dichiarato a metà mattina la presidente dei senatori democratici, Anna Finocchiaro. Una frase suonata come un epitaffio per l'esecutivo dei tecnici. L'apertura della campagna elettorale. Il rompete le righe, che il Partito democratico aspettava da giorni, sull'onda del successo delle primarie e dei sondaggi che lo vedono in testa. Vai che si vota prima, meglio se a febbraio. I dem quasi pronti a brindare. «Votiamo» è la parola d'ordine dei compagni. «Perché mica siam qui a smacchiare i giaguari», recita il bersanese. Tradotto: prendiamo la palla al balzo, che stavolta ce la possiamo fare. Profumo di Porcellum, mai come adesso essenziale per raggiungere Palazzo Chigi. Altro che cambio di legge elettorale. A chi conviene? Nel Pd in tanti spingono per le urne, anche per evitare di sottoporsi a primarie di coalizione. Insomma, dopo il via libera alla legge di stabilità, è il ragionamento dei dem, prima si va a votare e meglio è.   Non è un caso che ad aprire le danze sia stata proprio la Finocchiaro: «Il premier salga al Colle e si consigli con Napolitano, garante delle istituzioni». Come dire: finiamola qui. Ciao Monti.   Il segretario, impegnato con un gruppo di ambasciatori latino-americani, all'inizio ha fatto il vago («bisogna capire di che tipo di astensione parliamo»), poi però, alle 14, ha riunito i capigruppo al Nazareno e con il vicesegretario, Enrico Letta, ha convocato una conferenza stampa. «Riteniamo la situazione molto seria, grave», ha esordito. «Il Pdl sta trasferendo i suoi problemi sul sistema politico. È irresponsabile l'atteggiamento assunto al Senato con l'astensione nei confronti del governo. Noi del Pd, come ho del resto ribadito mercoledì nell'incontro che ho avuto con Monti, confermiamo la lealtà al governo fino a fine legislatura nonostante i dissensi su alcuni provvedimenti. Noi non abbiamo paura delle elezioni». Eccola lì, la parolina magica: elezioni. In fin dei conti, ai duri e puri del Pd non è mai andata giù l'idea di non avere approfittato della fine del governo Berlusconi e di essersi dovuti scansare per lasciare il posto ai prof.   Ora si ripresenta un'altra occasione. Perché non sfruttarla. Bersani stoppa facili entusiasmi, ribadisce «lealtà a Monti fino a fine legislatura» per non aumentare all'estero l'immagine di un paese destabilizzato, e si rimette alle decisioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il vincitore delle primarie di domenica assicura di volere mettere prima l'interesse del Paese, ma intanto è già lì che si frega le mani. In piena campagna elettorale. Se poi c'è anche l'amico centrista Pier...  I due in serata si sono ritrovati per un colloquio a porte chiuse, in cui pare abbiano affrontato il tema dei numeri della maggioranza di governo. Dai quaranta minuti di “vertice bilaterale”, in cui si sono affrontate le conseguenze dell'astensione del partito del Cav sia alla Camera che al Senato, è uscita solo «la grande preoccupazione» dei due leader emiliani per la situazione politica ed economica attuale.  Tra Casini e Bersani, comunque, il più incerto al momento è il primo. Il suo listone per l'Italia non decolla come vorrebbe. I democrats lo sanno, così come sanno dei rapporti non semplici con Montezemolo, motivo per cui giocano la carta della riconciliazione e della ritrovata alleanza con il Pd. «Ma non è detto che, se Casini volesse tornare indietro, lo accogliamo, almeno prima della campagna elettorale... se lo meriterebbe visto quanto ha giocato di tattica». Valutazioni premature per Bersani, preoccupato di vincere con uno spread alle stelle e con la prospettiva di interventi pesanti come primo atto di governo.  

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