C'è chi lo vuole ancora

Il piano dei "ribelli" del Pdl:vogliono candidare Monti

Andrea Tempestini

  di Martino Cervo L’incontro chiave risale a mercoledì sera, verso il tardi, più o meno in contemporanea con la nota di Silvio Berlusconi che ha di fatto tolto ogni dubbio sulla sua candidatura. Un ministro di peso del vecchio governo del Cavaliere si è intrattenuto in una lunga conversazione con un collega nella squadra di Monti, tra i più vicini al Professore. L’oggetto del discorso è stata una proposta molto chiara: la candidatura del premier alla guida di un rassemblement, come lo chiama Berlusconi, di centrodestra. Il ragionamento sotteso alle parole dell’ex titolare di un dicastero chiave è stato questo: chi non è pronto ad accompagnare Silvio nella sua sesta, febbricitante avventura, oggi non sa dove andare. Per molti, anche se poco convinti della ri-discesa in campo del Cavaliere, la prospettiva di mendicare un posto a Casini o di finire in coda a Montezemolo o, peggio ancora, Fini, non è proponibile. Ecco allora l’idea, per come è stata presentata al premier per interposto ministro. Lo spazio politico che Berlusconi ha cercato di colmare con un nuovo se stesso che poi ha trovato davanti allo specchio è tuttora enorme. E l’unica figura credibile, rassicurante per i mercati e per buona parte degli elettori, non circoscrivibile all’area della sinistra, è quella del senatore a vita. Le note alla scala La giornata di ieri, con i colloqui riservati alla Scala, è servita a sondare gli umori del premier in una fase convulsa che potrebbe solleticare la sua voglia di scendere in campo. Idea presa in considerazione, ma stoppata dalla recente uscita del Capo dello Stato che ha ricordato la tesi della incandidabilità del senatore a vita. Molti ragionano sul favore con cui sarebbe accolta la discesa in campo del premier da parte di diversi ambienti che contano in Italia. Per esempio, quando il capo di Confindustria Giorgio Squinzi (che ieri era alla Scala in zona Monti) auspica un governo politico con la «P» maiuscola non esclude una forgiatura del Professore nell’agone elettorale. Anzi, in molti scommettono che ne sarebbe acceso sostenitore: del resto, le sue maggiori critiche sono sempre state indirizzate ai singoli ministri (Fornero su tutti), non al presidente del Consiglio. Se l’appoggio dell’ambiente bancario non è in dubbio (in più di un’occasione per esempio Tomaso Enrico Cucchiani, ad di Intesa, ha apertamente auspicato una permanenza a palazzo Chigi), non è da escludere che un Monti «politico» sarebbe accolto senza patemi anche da parte della Chiesa, che pure lamenta la sberla alle realtà del non profit colpite da un trattamento fiscale penalizzante. Basta a prendere voti? No, però aiuta. Ed è questa l’obiezione principale al progetto «Monti leader del centrodestra». Che interesse avrebbe uno arrivato senza sudare a palazzo Chigi a sporcarsi le mani in una contesa spettacolare sì, ma anche pericolosa, contro due animali da campagna elettorale (tre con Grillo)? Qui l’interlocutore del ministro tecnico ha giocato  sul fattore della vanità (pare che i tecnici ne siano dotati), e soprattutto sul rischio che una vittoria senza ombre di Bersani possa chiudere prospettive per Monti tanto a palazzo Chigi quanto al Quirinale, dove salgono ora dopo ora le quotazioni di Romano Prodi. In caso di voto a marzo, infatti, sarebbe il nuovo Parlamento a eleggere il successore di Napolitano, e se l’Aula fosse a schiacciante maggioranza Pd, la golden share sul Quirinale della sinistra aprirebbe un’autostrada al Professore emiliano, e non a quello varesino. Fuggiaschi in aumento? La motivazione principale dell’intera operazione è stata presentata in questi termini: la sparuta frangia dei «ribelli» Pdl (Frattini, Crosetto, Mantovano, Malgieri e pochi altri) è destinata ad aumentare esponenzialmente in caso di candidatura di Monti, coinvolgendo sia esponenti della vecchia guardia socialista sia sensibilità più vicine all’universo cattolico, di fatto impossibilitato a un aperto sostegno al fondatore di Forza Italia. In più, il vantaggio dal punto di vista dei pidiellini anti-Cavaliere sarebbe scavalcare di colpo il blocco Casini-Fini-Montezemolo, trattando con loro da posizioni di forza nella costruzione di un popolarismo italiano a-berlusconiano. La tempistica per il «piano Monti» prevede un’accelerazione secca subito dopo il voto al ddl stabilità: la fretta di Berlusconi nell’andare al voto deriva anche dalla volontà di togliere spazio e tempo a soluzioni alternative. Il secondo grande interrogativo è: cos’ha da offrire a Monti chi, ormai alla porta nel Pdl, ne invoca la leadership? Cioè: quanti voti? Su questa domanda si giocano le scelte future. Senza contare che, se Monti davvero dovesse pensarci, la mossa potrebbe avere un valore deterrente elevatissimo nei confronti del Cavaliere, tanto da indurlo a un passo indietro (stavolta, definitivo persino per lui) o a un clamoroso sostegno: del resto, è stato Berlusconi a dire: «Monti? È sempre stato nel campo dei liberali e dei moderati».