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Province, ecco perché la Casta fa di tutto per non tagliarle

Giulio Bucchi
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  di Franco Bechis Il presidente della provincia di Macerata, Antonio Pettinari, ne è convinto: impossibile cancellarla per farla sposare come vuole Mario Monti con le province di Ascoli Piceno e Fermo. Perché? Oh, di perché ce ne sarebbero centinaia, ma voi senatori che avete oggi in mano quel decreto legge che questi scempi compie, lo sapete che la provincia di Macerata «è l'unica delle Marche con due Università ed un'Accademia delle Belle Arti, con un numero di studenti iscritti superiore a quello relativo non solo all'Università di Urbino, ma anche al Politecnico di Ancona?». E chissà che significa: che la provincia di Macerata così piena di cultura, non può unirsi a province zoticone? Pettinari nel suo documento inviato alla prima commissione del Senato per fare saltare l'accorpa-province di Monti, e cioè il provvedimento che alla fine ha sostituito progetti ben più radicali per cancellare uno degli enti più inutili della politica italiana, di motivi ne cita a raffica. Ma lo sapete che «la provincia di Macerata ha la maggiore estensione di zona montana delle Marche, con il parco nazionale dei Sibillini? La fascia costiera è limitata a soli 13 km». Chissà perché essere più in montagna che al mare dovrebbe ostare alla fusione con Ascoli Piceno e Fermo. Ma di fronte ai dubbi ecco un altro argomento decisivo: «Nell'ambito del territorio regionale la Provincia di Macerata ha una posizione più centrale rispetto alle due province di Fermo ed Ascoli Piceno a Sud». Eh, insomma, senatori: volete mischiarci con dei terroni? Pettinari ne dice tante altre, e il suo documento si può trovare sul sito della commissione Affari costituzionali del Senato. Ma non è il solo: fra fine novembre e inizio dicembre ha marciato sul Senato un vero e proprio esercito di difensori delle province italiane (i diretti interessati, ma perfino le unioni di comuni, e alcune Regioni), pronti a dimostrare che cancellarne anche solo una sarebbe follia, e chiedendo quindi di gettare nel cestino il timido tentativo di Monti di tagliare qualche costo della politica. Certo, difendono le loro poltrone e forse un mestiere che non saprebbero reinventarsi. Il problema è che hanno fatto centro: ogni senatore ha a cuore una sua provincia, e mai la vorrebbe vedere estinta e magari confusa con quella a fianco, forse nemica da secoli. Così, dopo il grande pressing, un sindacalista ufficiale di queste ragioni si è pure trovato: Filippo Saltamartini, relatore per il Pdl del decreto legge del governo tecnico che da qualche seduta sta esaminando la commissione guidata da Carlo Vizzini. Saltamartini ha fatto sapere ieri che il suo partito porrà mercoledì la pregiudiziale di incostituzionalità sul decreto accorpa-province. Dovesse passare, si trasformerebbe in un salva-province. In ogni caso lunedì gran parte del decreto sarà riscritto dagli emendamenti (centinaia di pagine) presentati da tutti i gruppi e anche dai relatori, che sono per il Pdl appunto Saltamartini e per il Pd Enzo Bianco. I senatori sono stati sommersi dalle proteste delle province. Ma non solo quelle: la conferenza unificata con le Regioni ha trasmesso un documento in cui si boccia il cuore di quel decreto, spiegando che il piano di accorpamenti è stato nettamente bocciato dalle Regioni Calabria e Lazio e che comunque tutte le Regioni italiane hanno espresso parere negativo sul decreto, «dal momento che lo stesso aggrava l'incertezza sul quadro normativo di riferimento, causando gravi ricadute sui territori». Così dalle Regioni sono arrivati quattro emendamenti in grado di stravolgere il piano di accorpamenti deciso da Monti. Nella Regione Calabria hanno votato uniti Pd-Pdl-Idv-Udc e autonomisti vari per impugnare il decreto Monti davanti alla Corte costituzionale e difendere tutte le province così come sono costituite.  Il presidente della provincia di Latina, Armando Cusani, che non ha alcuna intenzione di fondersi come previsto con quella di Frosinone, ha inviato la sua impugnazione del decreto per violazione o contrasto con ben 9 articoli della Costituzione italiana, di un paio di leggi fra cui il Testo unico degli enti locali e di ben tre articoli della Carta europea delle autonomie locali. Ricorsi alla Corte Costituzionale li minacciano e appalesano un po' tutti. Qualcuno cerca semplicemente di limitare i danni. Come il presidente della provincia di Lucca, Stefano Baccelli, che non vuole andare come è stato previsto insieme a pisani e livornesi e propone di unirsi solo a quelli di Massa e Carrara. Uno dei capolavori diplomatici viene dalla provincia di Siena, che non dice no sulla fusione con quella di Grosseto, ma chiede di «aprire con coraggio una vera  e propria fase costituente, dove la redazione dello Statuto dovrà diventare la sede in cui dare corpo al nuovo ente e al suo assetto amministrativo, compresa la collocazione del capoluogo» e aggiungendo: «La provincia di Siena si rende disponibile ad avviare con la provincia di Grosseto una completa e produttiva riflessione sul tema, ma tale ragionamento deve superare la logica della applicazione burocratica della norma che porterebbe a una inevitabile e duratura conflittualità politica e giuridica». Insomma, è un mezzo sì dietro cui si nasconde un no solo meglio vestito da «forse, ma fra anni».  L'Unione delle province italiane naturalmente ha tentato di smontare l'intero decreto, con una raffica di emendamenti che molti senatori hanno fatto propri. Ma non basta: rivogliono indietro almeno parte dei 1,2 miliardi di euro tagliati ai loro bilanci dai due decreti Monti sulla spending review. Perché certo, tutti stanno smontando le fusioni già previste, ma per fare splendere come un tempo tutte le province italiane bisogna anche dare loro una dote dignitosa. Magari un giorno, guardandola, qualcuno davvero potrà fare una proposta di matrimonio dignitosa. Per ora anche questo timido tentativo di tagliare i costi della politica, è destinato a naufragare.     

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