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Il Senato deve chiudere ma crea nuove poltrone

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Andrea Tempestini
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La bozza di delibera ha già spaccato l'ufficio di presidenza del Senato. Proprio nella settimana in cui verrà incardinato da Matteo Renzi e dal suo ministro Maria Elena Boschi il disegno di legge Costituzionale sull'abolizione dei senatori, l'uomo che guida palazzo Madama, Piero Grasso, ha deciso di moltiplicare improvvisamente le poltrone. Nella bozza di delibera si prevede infatti la nomina di tre nuovi vicesegretari generali del Senato, di nove direttori e l'avanzamento di altre categorie di personale per un totale di una ventina di promozioni. Una scelta decisamente in controtendenza sia rispetto ai piani del governo che rispetto alla scelta di non fare lievitare ulteriormente i costi della politica e della macchina amministrativa. Pronti dunque a dare battaglia contro Grasso sia Forza Italia che il Movimento 5 stelle, e qualche dubbio sembra avercelo pure il capogruppo del Pd, Luigi Zanda, che avrebbe chiesto di congelare ogni decisione, scegliendo almeno un timing meno infelice di quello proposto. Il Senato infatti è destinato se non a scomparire a ridurre notevolmente le proprie funzioni. E visto che si dimezzeranno e più i suoi componenti nella nuova camera delle autonomie, e si ridurranno notevolmente impegni e funzioni, è probabile che anche il personale attuale risulti fra qualche anno in esubero. Non serviranno gli attuali 829 dipendenti a tempo indeterminato (a cui vanno aggiunti quelli esterni), che sono attualmente divisi quasi perfettamente per genere: 419 uomini e 410 donne. Saranno certamente in esubero gli attuali 109 consiglieri parlamentari, come i 145 segretari parlamentari e riduzioni dovranno essere previste anche nelle categorie dei coadiutori, degli assistenti e degli stenografi. Invece di prepararsi a quei tempi arriva il piano promozioni. Che sorprende soprattutto nei vertici apicali: tre vicesegretari non ce li ha nemmeno la Camera di Laura Boldrini, che si limita a due pur avendo da dirigere una amministrazione che si occupa del doppio dei parlamentari (630 contro gli attuali 315 che diventeranno però meno di 150) e del doppio dei dipendenti. Ci sarà comunque battaglia all'interno dell'ufficio di presidenza, perché non mancano i sostenitori delle ragioni del personale. Qualche dubbio sui tre vicesegretari ce l'hanno in molti, e solo Grasso si è fatto in pieno alfiere della richiesta dell'attuale segretario generale Elisabetta Serafin. Ma sulle altre promozioni non tutti fanno muro. C'è chi sostiene siano in qualche modo dovute, e semplicemente non avvenute fin qui per inerzia di chi ha guidato il palazzo nella scorsa legislatura (Renato Schifani con il suo ufficio di presidenza). Molti posti si sono resi vacanti con pensionamenti e altri salti di carriera (qualcuno si è impegnato nei governi passati, altri sono diventati consiglieri di Stato) e le funzioni sono state attribuite temporaneamente dipendenti di rango inferiore. La tesi dei difensori della raffica di promozioni è dunque che queste siano dovute, perché altrimenti verrebbero ottenute attraverso cause all'amministrazione. Che questo sia vero però è tutto da dimostrare. Nelle condizioni attuali il Senato è di fatto un'azienda in crisi, dove non possono valere gli stessi diritti dei tempi spendi e spandi. Bisognerebbe cercare ammortizzatori sociali più che promozioni. Così secondo fonti ufficiali dell'ufficio di presidenza si sta cercando una soluzione di mediazione: galloni concessi dall'ufficio di presidenza, ma stipendi immutati per non fare lievitare i costi del Palazzo. Secondo quello che risulta a Libero però chi è proposto per la promozione ha ricevuto già un aumento di stipendio negli ultimi mesi per la funzione ricoperta, e la promozione ufficializzata lo renderebbe stabile, quindi con maggiori costi. Per altro le promozioni avrebbero un effetto moltiplicatore anche in futuro, perché incideranno sia sulle liquidazioni che sul trattamento pensionistico dei premiati. L'esatto opposto di quel che dovrebbe avvenire in questo momento a palazzo Madama. Nel frattempo sempre in tema di personale è stato deciso un contratto unico per dipendenti della Camera e del Senato, scelta questa che dovrebbe valere solo per i nuovi assunti (i diritti acquisiti non si toccano mai) e che potrebbe consentire nel medio termine una certa mobilità fra i due palazzi principali della politica romana. Per chi è già da anni nel palazzo la stretta economica è arrivata in questo momento solo dalla Camera dei deputati, che ha deciso di calmierare la spesa per stipendi non corrispondendo al personale per il 2014 e il 2015 gli aumenti contrattuali automatici previsti perché legati a quelli del personale della magistratura. Scatteranno invece di nuovo dal triennio 2016-2018 in poi con meccanismi però diversi. Una decisione adottata a maggioranza e con il parere contrario di tutte le organizzazioni sindacali interne. di Franco Bechis @FrancoBechis

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