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Belpietro: "Al governo con Renzi senza ala sinistra: l'ultimo azzardo del Cav"

Ignazio Stagno
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Nonostante abbia compiuto pochi giorni fa 78 anni, Silvio Berlusconi non pensa affatto alla pensione. La condanna per il caso Mediaset, l'interdizione dai pubblici uffici e il voltafaccia di alleati che hanno scelto di mettersi in proprio o addirittura di passare dall'altra sponda, lo hanno sì provato ma non vinto. E la frase che l'altro ieri ha rivolto al suo recente «nemico» interno Raffaele Fitto ne è la prova: a conclusione di uno scontro aspro sulla linea di appoggio a Renzi sul tema delle riforme, l'ex Cavaliere ha infatti sibilato un «io non perdo mai», che è la sintesi del suo programma politico. Dato per morto e sepolto un'infinità di volte, fin dai tempi del suo primo governo quando la Lega di Umberto Bossi istigata da Oscar Luigi Scalfaro gli fece mancare la fiducia, il leader del centrodestra è sempre risorto, risollevandosi dalle macerie e ritornando a vincere. Successe nel 2001, dopo cinque anni all'opposizione: nel 1996, quando perse le elezioni contro Romano Prodi nessuno avrebbe scommesso una lira (all'epoca il professor Mortadella non ci aveva ancora consegnati alla dittatura della Germania e dunque avevamo la nostra moneta) sulla tenuta del suo partito. Io stesso, da direttore de Il Tempo, fui testimone di riunioni in cui i suoi colonnelli preparavano il fuggi fuggi, convinti che Forza Italia fosse condannata, proprio come condannato pareva Berlusconi. Stessa musica dieci anni dopo, quando il Polo fu ribattuto da Prodi: Fini e Casini non vedevano l'ora di pensionare lo strano alleato e quando questi giocò la carta del Popolo della Libertà rimasero di sasso. L'ex segretario del MSI si accasò con il Pdl per convenienza, in quanto se fosse andato alle elezioni da solo avrebbe avuto tutto da perdere e si sarebbe impiccato a un risultato elettorale minimo, come poi capitò anni dopo con Futuro e Libertà. Quello dell'Udc preferì restar fuori, inseguendo il sogno del Terzo Polo centrista: anche nel suo caso è finita con una percentuale omeopatica che lo ha condannato alla irrilevanza. Perfino la sentenza Mediaset e l'espulsione dal Parlamento avrebbero dovuto mettere la lapide sulla carriera politica del signore di Arcore, ma come si è visto, nonostante i servizi sociali e nonostante le scissioni, l'ex Cavaliere è ancora in sella, deciso a correre anche questa corsa, quella delle riforme e della rivincita.  Lo so, in molti (tra questi il nostro Giampaolo Pansa che ne scrive qui oggi) pensano che sia vecchio e spompato e che farebbe bene a occuparsi dei nipotini, come qualsiasi signore giunto alla soglia degli ottant'anni. Tuttavia, nonostante l'età consigli il ritiro, Berlusconi è tutt'altro che pronto al passo indietro. In questi mesi ha riflettuto molto sul disastro italiano e credo che abbia chiara una cosa: dopo anni di divisioni e scontri politici tra destra e sinistra la situazione non è migliorata. La guerra fra lo schieramento progressista di origine comunista e quello dei moderati forse era inevitabile, perché gli ex del Pci erano pronti a governare dopo anni di opposizione e non accettarono mai l'intruso, ostacolandolo in ogni modo. Sta di fatto che dopo vent'anni non c'è un vincitore ma solo un perdente, ossia l'Italia. Che fare per uscire da uno stallo che sta trascinandoci nel baratro? Io penso che il Cavaliere si sia convinto che l'unica possibilità restino le larghe intese, soprattutto ora che alla guida della sinistra c'è un leader che non viene dal Pci e non è pregiudizialmente contro il leader di Forza Italia. Si può criticare Renzi per molti aspetti e tra questi una certa tendenza a promettere molto ma fare poco. Però non si può non riconoscergli che a differenza di chi lo ha preceduto non subisce la sudditanza dei miti della sinistra. Sindacato, flessibilità del mercato del lavoro, welfare, giustizia: per lui non c'è nessun dogma. E questo non può che essere guardato con favore da chi ritiene che per reinventare il Paese non servano dogmi. In fondo, molte delle cose che dice oggi il presidente del Consiglio sono le stesse che diceva Berlusconi vent'anni fa. Allora suscitavano scandalo, ora non più perché a dirle è il segretario del Pd.  Certo, una parte della sinistra le cose che sostiene Renzi non riesce a digerirle, perché non fanno parte del suo dna e non è da escludere che fra un po' questo pezzo di ditta, per dirla con Bersani, scelga di rompere con il premier e di passare all'opposizione, formando un partito di sinistra-sinistra. Ecco, è su questa possibilità che l'ex Cavaliere scommette per rientrare in gioco, perché è convinto che il quadro politico sia destinato a semplificarsi. Da una parte il Movimento Cinque Stelle, con un 20-25 per cento, cui si sommano altri due partiti d'opposizione, uno di sinistra sinistra con il 6-7 per cento e uno di destra con poco meno. E poi un raggruppamento composto da Pd e Forza Italia con circa il sessanta per cento. Centrosinistra e centrodestra costretti dalle necessità a stare insieme, così come ora sono costretti a riscrivere le regole del gioco per quanto riguarda legge elettorale e riforma del Senato. Ma se la situazione economica dovesse peggiorare, se come tutto lascia pensare le misure varate dal governo non saranno sufficienti a far ripartire il paese ma anzi rinvieranno solo l'ora in cui affrontare i problemi, alla fine sarà giocoforza un'estensione dell'alleanza tra Pd e Forza Italia non solo alle riforme ma anche al governo. E a questo punto il cerchio sarà chiuso. Non solo Berlusconi tornerà a pieno titolo, ma soprattutto senza più la parte massimalista del Pd a frenare il cambiamento, sarà possibile varare quei provvedimenti su lavoro, burocrazia, giustizia e fisco che sindacalisti ed ex comunisti avversano. Fantasie? Illusioni di un signore che non si rassegna alla sconfitta? Io penso che ci vorrà poco per capire chi ha ragione. Pochi mesi per capire se, ancora una volta, vincerà lui. di Maurizio Belpietro [email protected] @BelpietroTweet

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