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Regioni, il bluff del taglio a vitalizi e rimborsi: soldi ai partiti e consiglieri in pensione, ecco cosa (non) cambia

Giulio Bucchi
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Restano, seppur con mini tagli, i vitalizi a 60 anni per gli ex consiglieri regionali; niente divieto di cumulo con altre «pensioni», come quella da parlamentare; e mani libere sui soldi ai gruppi dei partiti. Se non è un clamoroso bluff, poco ci manca. Quando si tratta di rinunciare ai quattrini, i vertici delle regioni italiane sono veri e propri professionisti nelle operazioni «resistenza». Gli scandali e le inchieste nel Lazio e in Piemonte degli scorsi anni, nonché la più recente bufera cagionata da «Rimborsopoli», non hanno scalfito i politici regionali. E così, ieri, l'accordo (solo) politico raggiunto a Roma dai governatori lascia intatti gli assegni e, soprattutto, lascia intatta la possibilità di incassare contemporaneamente un vitalizio regionale e uno da parlamentare nazionale. Di qui, il tentativo di «vendere» ai media la cura dimagrante. In effetti ieri è stato deciso di ridurre per tre anni i vitalizi, stabilendo percentuali che variano secondo la loro entità. L'ordine del giorno approvato nella plenaria presieduta dal governatore dell'Umbria, Eros Brega, spiega che «tenuto conto della necessitò di rivedere l'entità del diritto secondo criteri di temporaneità, ragionevolezza e proporzionalità rispetto alle finalità di contenimento della spesa pubblica e alle esigenze di bilancio» scatta la riduzione del 6 per cento fino a 1.500 euro, del 9% fino a 3.500, del 12 per cento fino a 6.000 e del 15 per cento oltre. Calcolatrice alla mano, una sorta di «obolo» per tenere a bada le polemiche. E in ogni caso l'ordine del giorni è un atto politico che non vincola in alcun modo le regioni, la cui autonomia è tutelata dalla Carta costituzionale. Chissà se qualcuno brandirà la Legge fondamentale dello Stato per aggirare il giro di vite. Va detto, per chiarezza, che l'assegno è stato già abolito in 10 regioni: Trentino, Lazio, Lombardia, Molise, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Abruzzo e Piemonte; lo sarà, a breve, anche in Calabria e in Emilia Romagna, dove si andrà al voto nelle prossime settimane. E in ogni caso dalla primavera 2015, quando si voterà in tutti gli altri «enti», sarà definitivamente cancellato in tutta Italia. Tuttavia, resta il problema dei vitalizi maturati dai consiglieri delle legislature passate: si tratta di circa 3.200 «pensioni» che assorbono 170 milioni di euro. E su queste è scattata la resistenza. E c'è resistenza anche sulla possibilità di incassare l'assegno a partire dai 60 anni (ma con più di una legislatura) e non a 65 (regola generale). Anche se per «andare in pensione» con cinque anni di anticipo si dovrà accettare una decurtazione dell'assegno. Alla fine della giostra, comunque, non è affatto male (per chi incassa). «Oggi abbiamo deliberato all'unanimità un atto che andava fatto. L'assemblea dei consigli regionali preparerà nel merito un articolato che poi ogni regione dovrà approvare. Auspico che le regioni che vanno a votare in primavera adottino la legge prima di andare voto» ha commentato Brega. Il suo «auspicio» tradisce la sostanziale inutilità dell'atto approvato ieri. I governatori hanno promesso che entro l'anno si adegueranno, ma non hanno alcun obbligo formale. E poi c'è la questione dei finanziamenti ai cosiddetti gruppi consiliari, cioè ai partiti. La questione ruota attorno ai rimborsi spese, finiti nel mirino della Corte dei conti. Ieri la lobby dei governatori dovrebbe aver approvato un duro documento per attaccare la magistratura contabile. Obiettivo è rivendicare l'autonomia e il pieno rispetto delle norme, nazionali e locali. Semaforo verde, poi, a una proposta volta a correggere una legge sui rimborsi. In questo caso, obiettivo è ampliare le possibilità di spesa dei consiglieri regionali e, nello specifico, dei gruppi. Le regole attuali prevedono che «ogni spesa deve essere espressamente riconducibile all'attività istituzionale» mentre l'emendamento suggerito dai governatori amplia la portata dei rimborsi facendo riferimento, in via assai più generica, a «funzioni istituzionali e politiche affidate al gruppo». Non è una disputa tra linguisti. L'inserimento della parola «politiche» stravolge il senso dei rimborsi: financo per le spese relative a una riunione di partito, secondo alcune interpretazioni generose, potrebbe in futuro essere chiesto un rimborso alla regione. L'ennesima beffa per il contribuente. di Francesco De Dominicis twitter @DeDominicisF

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