Facci

Santanchè, ma lei non si vergognò del Pdl dopo l'arresto di Sallusti?

Andrea Tempestini

di Filippo Facci Giorgia Meloni non deve giustificarsi di essersi talvolta «vergognata del Pdl»: sono altri, semmai, che dovrebbero spiegare come possano non essersi mai vergognati. Si può essere indisposti ad ammetterlo per opportunità politica o per spirito di corpo (espressione infelice, nel Pdl) ma non conosco nessuna persona normale che a fronte di certe assurdità non abbia alzato gli occhi al cielo. In Italia si potrebbe rimpiangere, nobilmente, una destra liberale-conservatrice-europea mai nata, ma più praticamente si dovrebbe ricordare l'imbarazzante sequela di profittatori, autentici ladri e compiacenti donnine che hanno addensato le file di un non-partito che senza Berlusconi era e resta un vuoto cosmico: e questo dopo vent'anni di mediocre brulicare alla corte del capo. Ci si può vergognare, talvolta, di essere italiani o di essere giornalisti: figurarsi se non ci si può vergognare di un non-partito dove il fine giustificava i mezzi salvo accorgersi, ora, che rimangono i mezzi ma non c'è più un fine. A Daniela Santanché vorrei chiedere che cosa provava mentre arrestavano Alessandro Sallusti dopo che il Pdl si era dimostrato incapace di fare non dico una legge, ma anche solo uno straccio di manifestazione di sostegno. Glielo dico io che cosa provava: vergogna. Essere disposti ad ammetterlo è altra cosa, ma tranquilli, per quello ci abbiamo sempre pensato noi giornalisti, continueremo a vergognarci di un'intera classe politica come abbiamo sempre fatto.